ARTISTA Antologia Guido Almansi

Guido Almansi

La cartoonia di Ugo Nespolo

All'inizio di Who framed Roger Rabbif?, subito dopo la presentazione dello short su Baby Hermann e Roger Rabbit, noi vediamo Eddie Valiant, il detective grasso e stanco, malconcio, mal rasato, trasandato, la cravatta pendula dal colletto semiaperto, che ispeziona la scena di uno studio cinematografico. Estrae dal taschino posteriore dei pantaloni una fiaschetta di whisky, ne beve un sorso, fa la smorfia tipica del bevitore di liquori forti, chiude le labbra, spinge avanti il labbro inferiore in segno di disgusto e dice: "Cartoons!" (cito dall'edizione inglese perché evidentemente nella versione italiana la parola "Cartoni!" non ha lo stesso effetto).

Il critico grasso e stanco, malconcio, mal rasato, trasandato, la cravatta pendula dal colletto semiaperto, ispeziona la galleria in cui vengono esposti gli ultimi lavori di Ugo Nespolo. Estrae dal taschino posteriore dei pantaloni una fiaschetta di whisky, ne beve un sorso, fa la smorfia tipica del bevitore di liquori forti, chiude le labbra, poi le apre in un'espressione beata ed esclama estasiato: "Cartoons!". Perché tutta l'opera di Nespolo è una visita prolungata al mondo di Cartoonia, il quale è diverso dal nostro e nello stesso tempo è analogo a quello in cui viviamo. Che cosa determina il successo di un personaggio dei cartoni animati? La sua duplice natura caricaturale, verso il mondo animale e verso il mondo umano. Il coniglio premuroso, lo struzzo dall'andatura a balzelloni, la rana salterina, il pellicano in bicicletta, l'ippopotamessa che dimena il sedere, la mucca canterina che Eddie Valiant incontra durante la sua visita, sono animali di cui si esagerano, in funzione satirica, certe caratteristiche fisiche, motorie o di portamento; ma queste parodie tendono anche idealmente verso un tipo umano che richiama alla mente quell'animale e quella forma di trasformazione beffarda. L'ippopotamessa vezzosa ci fa ridere perché esiste l'ippopotamo vero nella savana o nel giardino zoologico; e perché esistono certe grassone che si credono procaci e dimenano il loro grosso posteriore. Si pensi infatti alla grandezza estetica di Donald Duck, Paperino, anche nelle più stupide storielle che appaiono settimanalmente negli album, proprio perché la sua persona non ha perso il contatto con la verità figurale di un vero papero e con la verità esistenziale di un tipo umano (ci sono tanti paperini e paperoni in giacca e pantaloni che girano per le strade della città); mentre Mickey Mouse, il Topolino attuale, ha rotto gli ormeggi, indispensabili, con la sua natura topesca; e ormai il suo segno si è esaurito. Un personaggio dei cartoons funziona pienamente solo se il segnale che emette agisce in due direzioni opposte.

Sulla natura cartooniana del mondo di Nespolo, non ci sono dubbi. I suoi personaggi umani, le sue scenografie, i suoi interni domestici e museali, i suoi paesaggi naturali o urbani, le sue caricature di opere d'arte, sono dei giocattoli grotteschi, perfettamente inseriti in un mondo ludico, totalmente artificiale, che viene sottolineato ed esacerbato dal materiale e dalla tecnica usata dall'artista (per esempio, i puzzles di legno colorato o i ricami); e funzionano a pieno regime quando i messaggi agiscono in due direzioni: verso il mondo ludico e verso il mondomondo (che del mondo ludico sembra essere a volte bizzarra imitazione). In un puzzle del 1972, Tavolozza di famiglia, abbiamo una tavolozza da pittore in cui ai consueti grumi di colore sono sostituiti minuscoli puzzles che rappresentano personaggi grotteschi, abitanti antropomorfi di Cartoonia. Quindi Nespolo può permettersi di partire da una cartoonizzazione dei familiari (suoi o di un altro) e di qui espandersi a tutto il puzzlificabile, che in questo caso corrisponde all'universo. Non direi, con Furio Colombo, che Ugo Nespolo "si muove con leggerezza col tocco lieve di chi sembra pensare che qualunque cosa si può trasformare in gioco"'. Non direi nemmeno che si muove con "pesantezza", perché Nespolo è uno spirito folletto a cui è necessaria l'assenza di peso, e da questo viene la sua felicità, o, per adoperare una parola poco di moda, la sua serenità; ma direi che si muove con "ponderazione", come chi ben sa che il gioco e la realtà si guardano sempre in cagnesco, "comme deux chiens de faience", ed è difficile mediare fra i due. Se fosse gioco e nient' altro, Nespolo sarebbe un illustratore o un decoratore. Nespolo è come la Svizzera, un territorio neutrale in cui le forze nemiche — in questo caso i numi che presiedono al gioco e le leggi che presiedono alla realtà — possono scambiarsi visite diplomatiche. Ma veniamo alla tecnica specifica del puzzle, gli incastri di legno laccato con cui Nespolo compone i suoi quadri: "a nice gimmick", una bella trovata, all'apparenza effimera e scherzosa, che l'artista ha avuto verso il 1966, venticinque anni or sono e che sembrava dovesse durare lo spazio di una mostra, o di una stagione o di un’annata.

Macchè, dopo un quarto di secolo questa “trovatine” funzionava ancora a meraviglia, e l’artista si può permettere di sfruttare sempre di più il mondo dei suoi puzzle, adattando questa tecnica a soggetti eterogenei senza per questo esaurire il senso di divertimento e di sorpresa per il creatore e per lo spettatore (anche l'artista de divertirsi e rimanere sorpreso dalla propria invenzione, altrimenti manca l'incanto). Se io vado a vedere, si fa per dire, una mostra di Nespolo sul tema delle fontane (una serie bellissima con fonti d'acqua da cui sembrano uscire colonne di marmo), o dei gelati, e so già che saranno tutti puzzles di legno, non mi verrà da dire: "Oh, che noia! I soliti puzzles!", ma, al contrario, sarò curioso di vedere che cosa diavolo quel birbante di Nespolo sarà riuscito a combinare, facendo delle fontane nel suo solito modo. Ma solito è un aggettivo misterio­so: perché al solito del puzzle si accompagna l'insolito delle metamorfosi del puzzle, che è sempre uguale e sempre diverso, a seconda del frammento di reale che viene affrontato. In uno dei migliori articoli usciti su Nespolo, la presentazione alla mostra Musei, Renato Barilli scrive: "Forse il celebre arti sta statunitense Roy Lichtenstein, uno degli astri della Pop, non fa molto di diverso col suo ricorso al 'retino', che è anch' esso un modo per affrontare le cose, scioglierle, disintegrarle e poi ricomporle con un metro unitario"'. Certo, ma si è visto, a partire dalla metà degli anni Settanta, come si è presto esaurita la forza di quella "trovata" di Lichtenstein, un tempo dirompente. Era l'estate del 1966, ed ero andato alla Tate Gallery di Londra per vedere gli ultimi acquisti del museo quando, "Whaam!", mi trovai di fronte a Whaam! di Roy Lichtenstein. Feci un salto per aria. Nella mia rievocazione si tratta di un salto mortale con capriola e giravolta a vite a mezz'aria, ma probabilmente era solo, data la mia stazza, un saltino di tre millimetri. Ma che millimetri vertiginosi! Poi la gimmick si è logorata, e le mostre degli ultimi anni (per esempio, qui in Italia, quella a Firenze del 1982), mostravano già Lichtenstein che rifà stancamente dei Lichtenstein, magari di mala voglia. Il trucco ha subito l'usura del tempo: il "retino" non funziona più. Al massimo, ti fa venire un singulto di nostalgia per il passato fulminante della prima pop art; per il resto, è ripetizione e noia. A questo punto viene voglia di spingere la posta un poco più in alto: e se poi anche il "cubismo" fosse stata una trovata, una delle più grandi trovate del secolo la quale, al di là delle conquiste e delle pretese epistemologiche e filosofiche (che oggi ci interessano relativamente perché le diamo per scontate), abbia tenuto in stato di ebollizione per molti anni il calderone dell'arte moderna?

La gimmick di Nespolo è ancora in buona salute, chissà perché. O vogliamo cercare di analizzare il motivo di questo continuo successo? Perché questa gimmick non trova mai ostacoli tecnici, come ben sanno i commercianti di puzzles per l'infanzia e per gli appassionati (non esiste soggetto che non si possa adattare a questa tecnica); perché la frantumazione dell'interno attraverso l'intarsio non altera le linee portanti del disegno; perché il puzzle favorisce un gioco di colore variatissimo, certamente non altrettanto ricco di quello che avviene nella pittura dove gioca lo sfumato, la variazione quasi impercettibile fra una pennellata e quella che gli sta accanto, ma accessibile a una infinità di giochi cromatico-combinatori; perché il lavoro di Nespolo è sostenuto da un'abilità artigianale straordinaria, perché le sue opere sono arricchite da una facilità decorativa eccezionale; perché Nespolo si prende sul serio solo in misura lecita, e non investe il suo sorprendente gimmick di una valenza filosofica, o metafisica; perché Nespolo non si vergogna di pensare ma non sottomette il suo pensiero al vaglio del critico alla moda; perché il pittore non ha perso il gusto del gioco e sfrutta la libertà ludica che gli è concessa; perché Nespolo ha molto da dire e ha accettato di dirlo attraverso i puzzles.

Certo, ognuno di questi punti di forza rappresenta anche un rischio. La tecnica del puzzle non trova mai ostacoli tecnici (tutto è difficile, niente è impossibile), e rischia quindi la genericità, la mancanza di specificità. Quando Picasso usa una sella e un manubrio di bicicletta per idealizzare una testa di toro, o un'automobilina di bronzo per imbestiare ancora di più una testa di gorilla, l'accostamento stravagante è unico e non può essere duplicato, né tanto meno moltiplicato. La forza di quell'immagine viene dallo specifico della metamorfosi da oggetto inanimato a figura di animale, mentre il puzzle è buono a tutti gli usi e manca sempre di quella fulminante specificità. La frantumazione non altera le linee portanti del disegno, ma le generalizza e, a volte, la stilizzazione è anche volgarizzazione. Il gioco di colori variatissimi ma estesi su zone ampie e non in dialettica tensione fra pennellata e pennellata porta fatalmente al decorativismo. L'abilità tecnica a volte ha il sopravvento sul progetto estetico. La facilità decorativa è quasi pericolosa nella sua immediatezza: Nespolo è un Re Mida che trasforma in "piacevole a vedere" tutto quello che tocca o che pensa o che dipinge o che fa; ma l'eccesso di scorrevolezza spontanea può essere un dono o una maledizione. La discrezione di Nespolo, che gli impedisce di inventare un supporto filosofico o pseudo-filosofico, ha tenuto lontano molti critici, i quali non sanno da che parte prenderlo (Nespolo è certamente un artista che non ha ancora ricevuto un'attenzione critica degna di lui — includendo questo mio saggio, si intende). Il gusto per il gioco rappresenta una continua tentazione a "tirar via" purché ci si diverta. Il puzzle non è un artificio particolarmente adatto a convogliare idee. E si potrebbe continuare su questa strada. Finora, però, Nespolo si è difeso bene contro questi pericoli; e la sua produzione non dà segni di stanchezza o di logorio.

Soffermiamoci un momento su due punti: l'abilità artigiana e il decorativismo. Furio Colombo nella sua presentazione parla dell'"ossessione per il dettaglio, quella passione di rifinire che molti (affettuosamente o no) definiscono in lui artigianale"'. I non-affettuosi (in pectore) sono numerosi: tanti quanti sono i critici crociani (in pectore) che nascondono una conformista devozione all'estetica crociana nonostante la disinvoltura con cui difendono le più spericolate e a volte insensate avventure dell'avanguardia. Nespolo è certamente un artista d'avanguardia, ed è anche il più tradizionale, che difende il ben disegnato, il ben fatto, il ben rifinito, il ricco e prezioso. Contro il mal disegnato (non programmatico, perché quei pittori non potrebbero fare diversamente) della transavanguardia, Nespolo tratteggia i contorni dei suoi tasselli con una precisione e una eleganza di altri tempi. Contro lo squallore dell'arte povera, fatta di terra e di sassi e di ciarpame, Nespolo sfida il mercato ricuperando materiali preziosi quali la madreperla, l'ebano, l'avorio, l'alabastro, l'argento. Contro la faciloneria di tanta arte moderna (si prenda, per fare un solo esempio, i graffiti-artists), ecco il lavoro di alta precisione di Nespolo, a volte for se con un eccesso di virtuosità. Penso a un'opera come Al pianterreno del Museo di Kensington, del 1978 (il titolo si riferisce a un'osservazione di Enzensberger, il quale sostiene che al Victoria and Albert Museum di Londra esiste una macchina ottocentesca di cui nessuno è riuscito a stabilire il funzionamento e lo scopo). In un contenitore di legno pregiato, preziosamente decorato di motivi vegetali, poggiato su quattro gambette che ne fanno una sorta di tavolo di lavoro, abbiamo un ripiano che contiene ventidue martelletti, di misura crescente da sinistra a destra e disposti lungo una linea ondulata. Tutti i martelletti sono una fusione in argento, poi sezionata, di un vero ramo d'albero; mentre i manici sono di legno pregiato e portano nella parte inferiore degli incastri colorati che seguono un gioco combinatorio. Bello, si, senza dubbio, ma c'è il rischio del gratuito. D'altra parte, come rinunciare a preparare un tale oggetto quando l'artista sa di essere il solo a saperlo fare?

"Non ti preoccupa la tua facilità decorativa?", ho chiesto una volta a Nespolo. La risposta, perentoria, mi ha messo a tacere: "A parte la differenza di valore, pensi che questa domanda avrebbe preoccupato Matisse?". Nelle prime opere, degli anni Sessanta, dove le tessere del puzzle erano più ampie e le combinazioni di colori ed intarsi più semplici, la persuasività decorativa delle opere di Nespolo era travolgente.
Checché altro indicasse il puzzle di Nespolo, era certamente una gioia per l'occhio. È una facilità naturale che sconfina senza sforzo in vari "generi artistici": dai tappeti (stupendo quello intitolato "La foglia", del 1986, che è una variante di un intarsio del 1966, Sonnet) alle ceramiche (si veda il catalogo della recente mostra a Faenza'), dai ricami all'alta ebanisteria, dalle palle da biliardo ai soprammobili. Mi sembra che nella più recente produzione di intarsi l'enfasi decorativa sia lievemente diminuita, per la pressione di altre, più complesse istanze, con risultati non necessariamente più impegnati e profondi; ma in alcuni intarsi degli ultimi anni la più alta ambizione di Nespolo si combina con la nativa piacevolezza dell'immagine. Penso a due delle opere di Nespolo che io prediligo: Blu & Blue, del 1988-90, che costringe l'occhio a seguire un percorso circolare di blu più o meno chiari con rari ma essenziali intervalli di bianchi e di gialli: un intarsio bello come un quadro di Kandinsky; e Pannonica, di cui esistono due esemplari, uno del 1985 e l'altro del 1986; il titolo rievoca un celebre pezzo jazz di Thelonius Monk, musicista molto amato da Nespolo. In quello del 1985 abbiamo due linee di pentagramma su variazioni di grigio, con delle note superimposte, rese un po' bizzarre dal tocco stravagante dell'intarsiatore, di vivaci colori, gialli e rossi inframmezzati da trattini neri. La suggestione del ritmo visivo e cromatico è tale che uno ha quasi l'illusione di poter leggere, o suonare, o canticchiare, quel motivo. È un quadro con effetto esilarante di straordinaria felicità, o, per riprendere il termine usato prima, serenità: un quadropuzzle che sembra dipinto-intarsiato in un momento estatico e gioioso che comunica questa gioia allo spettatore.

Tentativi di seriosizzare il ludo nespoliano ce ne sono stati, e come. A leggere l'antologia critica su Nespolo per gli anni Sessanta, c'è da trasecolare, o da divertirsi. Nel 1968, Pierre Restany scriveva a proposito di Nespolo: "Non si può fare a meno di pensare a Kant, ma ad un Kant totalmente dedito alla critica della ragion pratica" (sic)'. E Lea Vergine sulla scia (ma forse da allora si è un po' pentita di questa dichiarazione) scrive a proposito di Nespolo. "Oggetti nati all'insegna del modus tollens del nonsense. Il credo quia absurdum. Il “come se” di kantiana memoria"'. Eh si, gli anni Sessanta, quelli dei Beatles e della rivoluzione sessuale, sono stati anche gli anni teterrimi in cui era obbligatorio citare il giovane Marx dei Grundrisse o il Kant della Critica della ragion pratica se si voleva partecipare al gran vaniloquio del progressismo e dell'avanguardismo. Poi, nei decenni successivi, è invece venuto di moda citare ponderosamente scrittori scherzosi e investirli di responsabilità gigantesche. Lewis Carroll è stato uno di quelli che hanno più sofferto di questa moda. La scacchiera di Nespolo viene da quella di Lewis Carroll, scrive Paolo Fossati'; "Alice nel paese dei puzzles dipinti", dice un titolo della Nazio ne; Nespolo esplora "l'altra parte dello specchio", commenta giubilante Janus"; e persino l'ottimo Luciano Caprile, autore di uno dei saggi più interessanti sull'artista, lo intitola "Lo specchio di Alice"". Io proporrei una moratoria di dieci anni durante i quali dovrebbe essere proibito citare in un saggio Lewis Carroll se non quando si parla di Lewis Carroll, perché la grande avventura del paese delle meraviglie e del viaggio attraverso lo specchio sono diventati osceni clichés, bonnes à tout faire che servono a dare il falso brivido dell'avventura intellettuale alle considerazioni più conformiste e banali. Veniamo ora al punto cruciale di ogni discorso su Nespolo: la presenza dell'arte mondiale nell'arte di Nespolo; la sua rivisitazione di tutta l'avanguardia storica da Cézanne in poi; l'importanza degli ateliers di pittori rivisti e stravolti nei suoi intarsi; il ruolo dissacrante e consacrante dei suoi "Musei" (valga per tutti il suo enorme Museo del 1975-1976, dove le sale del museo e i visitatori sono smalti su legni ritagliati, mentre le opere esposte e rifatte maliziosamente da Nespolo sono ricamate). Sono cosciente che, su questo argomento vitale, la mia posizione diverge da quella dell'artista, ma non sono in grado di conciliare le nostre diverse opinioni.

Vorrei partire da una citazione tratta dall'ultimo libro di George Steiner, Real Presences: "Quando l'arte è più innovatrice, più iconoclasta nei proclami e nell'esecuzione, è allora che i suoi giudizi sull'altra arte sono più persuasivi. Non disponiamo di guida più convincente a Ingres di certi disegni e dipinti di Dali. Anzi, possiamo considerare quasi la totalità dei mezzi proteici usati da Picasso come una serie di rivalutazioni della storia dell’arte occidentale e a volte dell’arte “primitiva”. Il solo contributo importante della critica d’arte di questo secolo sarebbe dunque locato all’interno dell’arte stessa, in quelle spettacolari rivisitazioni di El Greco, di Velàzquez, di Lucas Cranach, di Michelangelo, di Courbet, di Monet, con le quali Ricasso ha segnato il nostro modo di guardare l’arte del passato. Come noi non possiamo leggere Shakespeare senza passare attraverso le forche caudine di Freud (anche se ci troviamo in posizione fieramente divergente da quelle della psicanalisi), così noi non possiamo guardare il Ritratto d’artista di El Greco senza passare attraverso la mirabile "parodia" (ma che parola goffa e inadeguata al compito è "parodia".') fatta da Picasso' ; non capiamo più la Venere e Cupido come ladro di miele di Lucas Cranach" senza passare attraverso la versione picassiana dove Venere porta un sombrero e Cupido è solo un moccioso frignante". Le "parodie" di Picasso non sono solo tra le più grandi opere d'arte del secolo: sono documenti essenziali della nostra visione dell'arte del passato (ed è curioso a questo proposito osservare che, tra centinaia di libri e di monografie dedicate a Picasso, non esiste, a mia conoscenza, una sola pubblicazione circa il suo ruolo come parodista). ~ proprio alla luce di questo mio giudizio su Picasso come parodista e della citazione di George Steiner che io vorrei leggere i d'après di Ugo Nespolo.

Nespolo rifiuterebbe questa definizione, perché trova il termine "d'après" troppo limitativo e tradizionale. Un "d'après" modernizza un quadro classico, lo inserisce nel discorso dell'arte di oggi (l'oggi del pittore che fa il d'après); mentre Nespolo vuole assumere un ruolo più innovatore, prendendo lo spunto da un quadro già esistente ma usando una tecnica completamente diversa, straniante (i quadri rifatti a ricamo nella mostra del 1973") e dimenticando l'originale nel processo per proseguire un discorso tutto suo. Io tendo a credere invece che tutta l'arte sia un "d'après", e che non esista una differenza di originalità fra Picasso che dipinge Les demoiselles d'Avignon, rifacendosi a modelli iconici dell'arte primitiva, e Picasso che esegue la stupenda serie dei disegni su Las Meninas di Velázquez. Rifacendo, Picasso parodia, cioè ammira commenta critica ridicolizza esorcizza (ognuno di questi verbi indica un atteggiamento critico sulla parodia, da Marcel Proust a George Steiner a Harold Bloom). Riprendiamo il caso più clamoroso: il cosiddetto Ritratto d'artista di El Greco, perversamente rifatto da Picasso. Il volto aristocratico del pittore, maliziosamente distaccato e sprezzante, si tramuta in un ghigno, ai confini del regno della morte; la gentile e preziosa curva del mignolo rivolto verso l'alto nella mano pennelbrandente diventa uno stravagante ghirigoro, tra il languidamente effeminato e il mortuariamente cadaverico, di modo che il maschio artista eppur delicato e bello si trasforma in un ibrido fra femmina lubrica e signora morte. Pure lo schema coloristico della tela, tutto basato sul contrasto fra l'ampio giro bianchissimo della gorgiera di pizzo intorno al collo dal tenero incarnato e la minacciosa espansione del nero, viene fedelmente, rispettosamente, osservato dal pittore parodiante, che mantiene la struttura portante e la sintassi di colori del quadro, anche se ne rovescia, magari grottescamente, i contenuti figurativi. Il risultato finale non lascia adito a dubbi: l'originale è un quadro ammiratissimo di un pittore amatissimo, e solo l'intensità del rapporto, la violenza dell'attenzione che non può non generare la reazione negativa della ripulsa, può spiegare l'ambiguo fascino della tela, che potremmo chiamare, con termine volutamente paradossale, una parodia appassionata. A valle di Picasso c'è poi, per esempio, Enrico Baj che imita e paròdia, appassionatamente, Les Demoiselles d'Avignon o Guernica. A monte di El Greco ci saranno i pittori imitati dal maestro spagnolo. Cosi, di parodia in parodia, procede l'arte occidentale.

Quando Nespolo cita l'arte d'a­vanguardia, da Cézanne a Cy Twombly, il suo atteggiamento copre una gamma di emozioni e reazioni molto vasta, che oscillano tra il sarcasmo e la partecipazione, tra lo sberleffo e l'ammirazione. Probabilmente quasi tutti i ricami esposti alla Galleria Blu, "Nespolo è il mago zigo-zago, posa il filo e prende l'ago"", partono da un intento beffardo: "Perché comprarsi i quadri dell'avanguardia americana? Fatevelo in casa, ricamatevelo da soli". Magari come i cuscini fatti nell'Ottocento "che riproducevano a punto raso l'Angelus di Millet"". Li il "d'après" serve soprattutto a prendere in giro le pretensioni dell'artista parodiato, Walter De Maria o Morris Louis o Luciano Fabro o Kenneth Noland o Frederick Sandback (tutti pittori quanto più lontani possibili dal mondo di Nespolo), che ne escono un po' malconci, cosi facilmente e risibilmente riproducibili nel ricamo del parodista. Direi che l'apice della satira all'arte contemporanea si trova nel film di Nespolo, Un supermaschio", in cui lo stallone di ispirazione jarryana trova in un negozio un'enorme testa di cartapesta di Joseph Beuys (cappello incluso), se ne innamora, la compra, la porta a casa e incomincia a far l'amore con lui (o meglio con lei, la testa). Giunge al punto di volerla sposare (sempre la testa) per legalizzare la loro unione, e ci sono scene di erotismo esplicito in cui il supermaschio lecca la testa di Beuys, ci si struscia, si masturba contro il suo collo e le sue guance, nell'edizione europea ejacula sull'amato (l'edizione americana è espurgata) ; e alla fine viene ucciso con l'elettricità dai suoi compagni d'orgia che non tollerano la sua forma di devianza. Si, è vero, nel film il supermaschio ama la testa di Beuys, ma è cosi facile, non uscire di metafora ma entrare in metafora, dicendo che l'attore e Nespolo al suo fianco, "screw him", "fuck him", lo chiavano o lo fottono. Contro l'imperialismo beuysiano, cosi serioso e pretenzioso, Nespolo rivendica la sana concezione dell'arte come gioco. Poi ci sono altre rivisitazioni che sembrano avvenire alla luce di una bonaria ironia, a metà strada fra l'omaggio e lo scherzo: penso al bellissimo Guardar Wesselmann, del 1974, dove un visitatore con l'ombrello, visto di spalle, sobriamente vestito di blu con un cane niente affatto sobrio le cui chiazze di colore rivaleggiano con quelle del pittore americano", osserva in modo assorto tre tele di Wesselmann semplificate (nemmeno poi tanto; non ci vuole un grande sforzo per rendere più semplice ciò che è già semplice, o semplicistico, nell'originale); o, in maniera consimile, con gli stessi spettatori, uomo e cane, a Guardar Oldenburg del ]974, p ai De Chirico (per esempio, Suggestioni ferraresi del 1981 e Metafisica in blu del 1982); a Kandinslcy (Stili li-fe e Kandinsky del 1984), Nel famoso Museo lungo dieci metri, con i quadri parodiati in ricamo, tre o quattro pittori sono trattati con una certa sufficienza, senza malignità ma con malizia: Frank Stella, Hockney (a mio avviso, li c'è un eccesso di cattiveria verso quel grandissimo artista), Rauschenberg, Japers Johns. Pure si veda il bellissimo quadro ispirato da Rauschenberg Early Aegy ptian, del 1981, dove il rapporto fra artista parodiante e artista parodiato è più ambiguo: un'opera cosi commossa e cosi partecipe non nasce puramente da uno scopo dissacratorio. Se poi si passa ai "d'après" di Hopper, ecco che il tono cambia radicalmente. In Guardar Hopper, del 1981, lo spettatore visto di spalle è vestito di nero e non più di blu, e anche il suo bel cagnone è diventato nero, in modo che entrambi spariscono nell'ambiente per far scattare il brillante rifacimento di un tipico Hopper, una squallida scena di un bar americano con gli stanchi avventori appoggiati al bancone. È in questa area di parodia entusiasta — o dovremo dire "esorcistica?" — che si situano gli straordinari "d'après" su Matisse (molti esempi, tra i quali: Guardar Matisse del 1980; Atelier di Matisse del 1981; L'atelier rouge del 1981; Matisse al Museo del 1984) : questi quadri sembrano un modo nespoliano per esprimere affetto, ammirazione, devozione verso il grandissimo pittore, che diventa qui un punto d'arrivo, una meta che l'artista italiano si sforza di raggiungere. Ovvero dovremo vedere anche in questi quadri una certa dose di malizia e di cattiveria? Si, probabilmente, ma è la tipica malizia alla Harold Bloom dovuta all'angoscia dell'influenza". Bloom sostiene che, nella poesia inglese, ci sono stati dei titani (Milton e Wordsworth per esempio) che avrebbero tarpato le ali di tutti i poeti della generazione successiva se questi non si fossero accaniti contro il grande predecessore, "misreading him", mis-leggendolo, de-leggendolo, cambiandogli i connotati (quasi in senso pugilistico) per conquistare un'area di manovra. Matisse deve essere stato, per un artista cosi preziosamente e teneramente "decorativo" come Nespolo, uno di questi Titani, un padre di cui ci si deve freudianamente liberare uccidendolo, o malmenandolo. Per me, le punte più alte dei "d'après" di Nespolo corrispondono proprio a questi scatti patricidi, gesti di odio e di amore verso un pittore troppo amato.

È curioso che i "d'après" non risalgano mai la corrente oltre l'inizio delle avanguardie storiche ma partano da Cézanne. Esiste si un quadro dal titolo Un falso Raffaello del 1988-90 (riprodotto in copertina dal catalogo Electa del 1990), che ripete con poche varianti un quadro precedente, L'angelo volante del 1986; ma si tratta di un riferimento letterario: sullo sfondo c'è un quadro con un angelo che potrebbe anche, perché no, essere di Raffaello; ma ciò che conta è l'ombra dell'angelo sull'impiantito della sala da museo. Per il resto, l'arte prima di Cézanne è ignorata. Perché'?
Perché gli impressionisti non si adattano alla tecnica di Nespolo, che ha bisogno dello spigolo vivo, del predominio della linea sul colore, della nervosità dell'arte moderna per agire di sponda. Ma questo non spiega l'assenza di quadri, non so, del Seicento, o del Rinascimento, o del Quattrocento, che probabilmente si adatterebbero all'approccio di Nespolo. In questo, Nespolo, forse "las de ce monde ancien"", è un pittore totalmente immerso nel sogno e nell'angoscia della modernità.

Una certa ambiguità di atteggiamento si ritrova anche nelle opere di Nespolo che riguardano l'istituzione museale. Numerosi critici, e l'artista stesso in dichiarazioni e interviste, hanno insistito sull'elemento satirico verso il museo, questa nuova chiesa dove "l'avanguardia di oggi celebra i suoi riti più sofisticati e difficili", come dice Barilli". A volte si tratta di un museo che è solo un dilatato ambiente domestico, come nel grande intarsio di dieci metri di larghezza che ha una illuminazione di tipo casalingo: "I paralumi da tavola da pranzo contraddicono la luce 'zenitale' tipica dei nuovi musei", commenta Vittorio Fagone', che conclude con l'osservazione che "quest'opera che demistifica il museo si apre a un ulteriore margine di contraddizione in quanto [...] non può essere accolta che da un museo"" per via delle sue dimensioni. Il grande intarsio invece è stato accolto in una collezione privata, ahimé, e non è più facilmente accessibile al visitatore comune; ma il punto controverso è quello della "demistificazione". Si, è vero, ci sarà un elemento di scherzo in questi musei rifatti a puzzle, ma io trovo quasi commovente, al contrario, la devozione al rituale, quasi religioso, dell'adepto che va al museo e si sofferma a contemplare il quadro. Sono dei visitatori coscienziosi, i personaggi di Nespolo che entrano nel museo o nell'atelier e osservano le opere esposte: non fanno le cose in fretta, se ne stanno fermi davanti al quadro a guardarlo e a valutario e a pensarlo, senza correre da una sala all'altra come i turisti americani al Louvre. Se passano davanti al quadro senza prestargli troppa attenzione, è perché è un Museo già visto (un quadro del 1983).
A volte il visitatore osserva la tela da vicino per studiare un particolare (Interno pour tout savoir), del 1984; o Avanguardia educata, dello stesso anno; o Yuki-Yoko, del 1986); o piega la testa da un lato nello sforzo di trovare un'angolatura diversa per penetrare nel mistero del dipinto (Colpo d'occhio, del 1983); ed è interessante notare che l'angolatura del collo e della spalla è identica sia per il visitatore che per il pittore che dipinge (si veda L'artista e il suo doppio, del 1982), indicando cosi un analogo impegno intellettuale e estetico nel creatore e nel fruitore. Ha ragione Janus quando afferma che i quadri di Nespolo "dedicati alla serie dei musei forse rappresentano il suo desiderio inconscio di possedere la più grande collezione d'arte del mondo" ; ma l'aspirazione sembra essere verso un possesso mentale, come se il quadro trovasse una giusta locazione nella mente solo dopo averne fatto una riproduzione, un "d'après", una parodia, una caricatura. Io amo i pittori e gli scrittori e i compositori che hanno familiarità con la notte e non solo con il giorno; ma, ogni tanto, trovo esilarante il contatto con un artista pienamente soddisfatto della sua serenità, quasi ignaro dell'esistenza del concetto di buio. Nespolo è un pittore diurno, e superficiale nel senso più alto del termine ("Le plus profond, c'est la peau", diceva Valéry). Ricordo quando nei primi anni Sessanta noi poveri provinciali europei arrivavamo alla Tate di Londra o ai musei americani con attrezzatura da minatore, lampada e piccozza, per esplorare le rofondità della psiche; ed è stato un grande trauma trovarsi, alla mirabile superficialità della pop-art. Nespolo è un pittore in cui tutto sembra avvenire in superficie, persino la vita mentale: come se "pensassimo in superficie (e un'idea di Alain Robbe-Grillet circa Lichtenstein che mi pare si adatti anche a Nespolo).
Abbiamo a che fare dunque con un artista squisitamente post-moderno: se cerchi di trovare un buco o una forra dove infilarti per scavare in profondità, sarai deluso, perché i segreti più nascosti sono allo scoperto, come nella "Lettera rubata" di Edgar Allan Poe. Se solo si potesse pensare e sentire nella vita come nei suoi quadri, finalmente potremmo fare a meno degli orrendi psicanalisti e delle loro pretese. Forse ciò che amo di più in Nespolo è la sua immunità da ogni tentazione della psicologia e di quella pseudo-profondità che è una delle piaghe maggiori della cultura del nostro secolo.

(dal libro Nespolo, Giorgio Mondadori & Associati Editori s.p.a., Milano, 1991