Così Nespolo supera ogni arte
Trasgredire sempre
Tradire tutto
Un libro una grande mostra a Milano rimettono al centro della scena
un artista che ha percorso mode e stili ma ha scelto di stare "fuori dal coro"
Dal Futurismo ha ereditato la propensione al movimento continuo, sintomo di un'irrequietezza intellettuale che lo costringe a misurarsi con sfide sempre nuove. Dalla Pop Art ha preso la centralità dell'immagine, frontale diretta. Dall'Arte Povera il gusto per i materiali e per ragionamenti articolati che però, a un certo punto, in lui si alleggeriscono, diventano pura ironia, come accadeva per l'amico e sodale Alighiero Boetti.
Tutto questo è Ugo Nespolo. Non solo. C'è bisogno di altre parole chiave per metterne a fuoco una lettura non parziale: teoria dell'avanguardia permanente, Fluxus (di cui è stato tra gli iniziatori in Italia), New York - fu uno dei primi ad andarci, riportandosi souvenir d'America a Torino materializzati in stivaletti a punta e tacco mozzato, come quelli che piacevano a Andy Warhol, da cui mutua anche l'idea di uno studio Factory in cui fare di tutto- postmoderno, rapidissimo nel capire che la stagione delle fratture storiche si stava concludendo, le gerarchie sarebbero presto saltate e tutto si sarebbe rimescolato come in un frullatore senza più alto e basso.
Raccontare Ugo Nespolo è dunque assai più arduo e complesso rispetto a ciò che si vede. Proprio il contrario del suo amato Warhol secondo il quale era inutile cercare nell'opera significati nascosti, è tutto lì, pura evidenza. Per Nespolo no, bisogna agire strato su strato, grattare il fondo, superare quella piacevolezza che lo rende cosi appetibile. In questo momento storico di rinnovati mugugni tra Torino e Milano lui, biellese a metà strada, si prende l'omaggio della città che lo ha visto decollare artisticamente, negli anni '60, quando frequentava la galleria di Arturo Schwarz ed era molto amico di Enrico Baj con cui fondò l'Istituto Patafisico Ticinese (Alfred Jarry e Pere Ubu, altra passione), anticipando per certi versi la poetica dell'Arte Povera. Resta un nodo scoperto: nonostante sia stato incluso nelle prime mostre poveriste, il gruppo di Germano Celant lo ha tenuto a distanza e al Castello di Rivoli (il museo mausoleo) non ci è mai entrato.
Anche questa ma non solo è la ragione del titolo scelto per la mostra che apre il 6 luglio a Palazzo Reale di Milano (fino al 15 settembre): Nespolo fuori dal coro, uno slogan caro a noi del "Giornale". Circa 200 opere, selezionate insieme Maurizio Ferraris, filosofo e non curatore d'arte, tanto per dire la sua a proposito degli specialisti e del sistema contro cui spesso il nostro lancia strali polemici sotto forma di articoli. Recente editorialista de "Il Foglio", i suoi ultimi pezzi sono appena stati raccolti nel volume Maledette belle arti edito da Skira, che riecheggia Tom Wolfe. Nonostante la vis polemica non gli manchi, anzi, la compassata Torino continua a riconoscere a questo incredibile ultra settantenne un ruolo ufficiale nella cultura: dopo essere stato presidente del Museo del Cinema, è stato insignito della laurea honoris causa in Filosofia nello scorso gennaio. Un intellettuale insomma, anzi un creattivo (con tre t) come lo definisce Ferraris, "crea solo reagendo, a contatto con l'attrito del reale, ossia pratica ciò che un grande maestro dell'estetica torinese, Luigi Pareyson ha definito formatività : il fare artistico trova le proprie regole in corso d'opera e a confronto con l'opera".
Tornando però alla mostra di Palazzo Reale, diverse le sorprese in oltre mezzo secolo di arte. Dopo la fase sperimentai-concettuale, Nespolo mette a punto quello che viene considerato il suo marchio di fabbrica, il puzzle di legni incastrati e colorati, come a dire se la pittura resiste non è altro che una convenzione, uno simulacro, trasposta in uno dei soggetti più brillanti e acuti di Ugo, ovvero i Musei
immaginati come nuove cattedrali laiche, luoghi dell'intrattenimento contemporaneo. Appassionato di cinema sperimentale, produce alcuni film d'artista diventati di culto negli anni '60, coinvolgendo gli amici Fontana, Pistoletto, Ginsberg e Pivano in cammei d'eccezione.
Avanguardista sempre, purista mai: Nespolo ha "sporcato" l'opera, ne ha contaminato la seriosità demolendone definitivamente l'aura (ecco perché non poteva stare nell'Arte Povera), senza nessuna paura di sfiorare il design e le arti applicate, anzi. Autore di celebri campagne pubblicitarie (Campari, Richard Ginori), di oggetti d'arredamento, manifesti (azzurra, Mondiali di calcio, Giro d'Italia), copertine di dischi e libri, arredo urbano (dal monumento sul litorale di San Benedetto del Tronto dedicato a Dino Campana alle immagini per le 21 fermate della Metropolitana di Torino), re-design di automobili e motociclette, scenografie e costumi per il teatro. L'elenco potrebbe essere infinito, così come quello delle tantissime mostre in ogni parte del mondo, con felici intuizioni sui nuovi mercati: se negli anni '60 Nespolo scoprì l'America, oggi lo trovi in Russia, Cina e negli Emirati.
Nonostante esperienze così ne vanti davvero tante, Nespolo si porta dietro l'entusiasmo coinvolgente del ragazzo. In fondo ogni mostra è sempre una première, nel palcoscenico dell'arte.
(IL GIORNALE, 29 giugno 2019, Pag. 32)