ARTISTA Antologia Pierre Restany

Pierre Restany

Ugo Nespolo e la critica della Ragion Pratica

L'universo di Nespolo è quello della ricostruzione oggettiva. Nelle sue costruzioni, nei suoi "camuffamenti" (oggetti ricoperti di pittura macchiettata) o nei suoi puzzles (forme ritagliate entro superfici piane e scomponibili) si ritrova il denominatore comune della sua visione del mondo: l'approccio deliberatamente frammentato del reale attraverso una successione di piani. La realtà di Nespolo non s'impone come una rivelazione immediata, totale, illuminante: essa appare come una zona intermedia e sottile a mezza strada tra la singolarizzazione dell'oggetto e la sua appropriazione diretta. Entriamo in un mondo i cui elementi sono stati preliminarmente e in modo accurato liberati da ogni criterio di generalità o universalità su cui si è soliti fondare gli abituali giudizi di valore. Oggetti e forme di Nespolo vivono al condizionale e non all'indicativo. Essi affermano la loro presenza, non s'impongono in quanto tali. Ci suggeriscono invece la potenzialità di una dimensione spazio-tempo entro la quale – una volta integrati – assumeranno il loro pieno significato. Questo contesto ideale può essere spiritualmente ricreato dallo spettatore. Ma questo sforzo di ricostruzione attiva non è indispensabile. D'altronde non tutti hanno libero accesso a questo laboratorio mentale in seno al quale il riguardante diventa demiurgo.

Lo spettatore passivo sarà sensibile al "mistero" dell'oggetto, alla piena disponibilità della forma. Così questo telefono potrebbe trasmettere dei messaggi. Ma il filo conduttore che collega il ricevitore al trasformatore non ha alcun bisogno della reale esistenza della corrente elettrica per giustificare la propria presenza: gli basta tradurre la piena disponibilità oggettiva al flusso dell'energia elettrica, la possibilità del passaggio della corrente.
Analogo discorso si può fare sulla "macchina per trasportare l'aria all'altezza desiderata", composta di tubi flessibili con quattro metri di estensibilità dalle ghiere d'uscita sino al serbatoio sospeso.
Lo stesso dicasi per la "macchina d'ingombro", una gigantesca bobina di tessuto plastico posta su un piedistallo, pronta a srotolare nello spazio i suoi cinquanta metri di nastro verde. Tutte queste macchine-oggetti condizionali traggono la propria origine semantica dai puzzles messi a punto da Nespolo in un periodo immediatamente precedente (1966) e che egli intitolò in modo significativo oggetti o pareti "scomponibili". Questi puzzles erano costituiti da pannelli scomponibili in una serie variabile di elementi magnetici. L'accento era posto sulla disponibilità, la potenzialità della disposizione. Il risultato finale, l'immagine composita unitaria, taglio schematico o motivo di decorazione araldica (le N di Nespolo tra gli allori napoleonici), importava poco. Ciò che contava, innanzitutto, era il rendere lo spettatore sensibile alla possibilità tangibile del trasporto e dello spostamento degli elementi formali, lasciandogli piena libertà di partecipazione. Alcuni oggetti del 1966 erano d'altra parte "pseudoscomponibili": strutturati cioè in modo tale da evocare l'idea del puzzle, ma con gli elementi fissi.

Le forme oggettive di Nespolo sono assegnate dal loro autore a una libertà condizionale: quella della nostra volontà, una volta assunta la coscienza della nostra propria relazione in quest'universo del linguaggio. Un esempio bene illustra la sottile elasticità di questo porre in situazione. Un oggetto "estensibile-scomponibile" del 1967 consiste in due parti di cubo che è possibile far compenetrare l'una nell'altra e che racchiudono venti metri di corda di nylon. L'oggetto in posizione chiusa è un elemento prismatico perfetto, una struttura primaria, per così dire. In posizione aperta due cubi collegati dal filo di nylon acquistano infinite possibilità di rapporti di situazione. Il giovane artista mette così in causa, senza inutile affettazione, con una discreta e inesorabile sicurezza - cioè magistralmente - tutto l'edificio logico dei nostri sistemi razionali di comunicazione.
Nel conseguente passaggio tra il soggetto e l'oggetto, la percezione e la partecipazione, alcuni troveranno dello "humour". Lo humour ha certamente il suo posto in questo tentativo di sottomissione del linguaggio oggettivo ai quanta dell'indeterminazione individuale e al calcolo delle probabilità. Ma questo humour strettamente connaturato al linguaggio ne costituisce la chiave, una sorta di modo ottativo che annuncia l'intera virtualità della comunicazione: demistificato dal nostro sorriso, l'oggetto è prontamente restituito alla sua primitiva vocazione, che è di "assicurare il passaggio di corrente". Ecco un'estetica direttamente legata alla morale del libero arbitrio. Non si può fare a meno di pensare a Kant, ma a un Kant totalmente dedito alla critica della ragion pratica.

(dal catalogo della Mostra Macchine e oggetti condizionali, Galleria Schwarz, Milano, dal 5 al 30 marzo 1968)