Maurizio Ferraris
Genio e regolatezza
Molto spesso i filosofi quando elaborano teorie sull'arte si riferiscono all'arte visiva, quasi che fosse paradigmatica, mentre non lo è affatto. Certo l'arte visiva contemporanea e la sua chiesa museale sono consacrazione, rituale, ammirazione retti dalla tesi della indifferenza estetica. Ma c'è una grande quantità di oggetti artistici (basti pensare ai video, ai film, ai fumetti, alle canzonette) che occupano molto più intensamente la nostra vita e seguono tutt'altri culti, cercando di conquistare il fruitore con attrattive più profane, senza potersi permettere il lusso della indifferenza estetica. Visto che la buona volontà non basta, può spesso accadere che questi oggetti siano brutti o così così, ma il punto è che i fruitori lo dicono: "questo mi piace, questo non mi piace", mentre di fronte all'arte visiva le cose andavano diversamente. Dunque la morte dell'arte profetizzata da Hegel due secoli fa si è realizzata alla perfezione. Solo che non riguarda tutta l'arte, ma solo l'arte visiva, anzi, quella parte dell'arte visiva che si autocomprende appunto come Grande Arte Concettuale, mentre altre arti stanno benissimo, e ne nascono di nuove (si pensi ai videoclip, o alla Graphic Novel, un genere contiguo a molti dei lavori di Nespolo). Non sarebbe la prima volta (per esempio, a un certo punto sono scomparsi i poemi epici e sono apparsi i romanzi), e la cosa davvero interessante è chiedersi che cosa ci sarà dopo, o se il dopo è già qui.
Di questa trasformazione, che era già stata ben compresa da Wagner con il suo appello alla multimedialità del Wort-Ton-Drama, Nespolo è stato l'eroe infaticabile, e proprio in questo rifiuto della facile concettualità in nome di una oggettività riflessiva sta l'acume e la sensibilità intellettuale, oltre che artistica, di Nespolo, autore colto come pochi altri, e versatile più di ogni altro. Ci vorrebbe un bel po' a elencare tutte le arti praticate da Nespolo, e non per sport, senza dimenticare ovviamente che si è dedicato all'arte per lo sport, disegnando la maglia rosa del giro d'Italia del 2003, e arrivando addirittura al palio, anzi, ai palii: quello della Giostra della Quintana di Foligno, quello ad Ascoli, di Asti, di Siena (c'è effettivamente qualcosa dei blasoni nobiliari nel suo stile, e in molti casi ci gioca sopra). E poi l'opera lirica, momento pop, ma antico, luogo in cui si creano le psicosi collettive, alla Wagner e Nietzsche.
Per Nespolo è soprattutto Puccini, che è davvero nelle sue corde, con un misto di americanismo e di orientalismo che si fondono nella Versilia. E prima ancora l'Elisir d'amore di Donizetti, e altra musica, che è al tempo stesso quella di Luciano Berio e quella di Ivano Fossatie.
Fra tutte le muse anticlassiche forse la più frequentata da Nespolo è il cinema, o meglio, per metterla un po' come nei negozi di un tempo, il cine-foto-ottica. Che abbia diretto il Museo del cinema non è un accidente: si è creata una circolazione virtuosa tra i modelli cinematografici che assume come esempio per la sua estetica e per le sue opere, e i film che realizza. Quanti film ha girato Nespolo, e non solo di avanguardia, anche di pubblicità , e le videosigle della Rai... La scelta del cinema ha un significato preciso. Si deve appunto andare in bocca al lupo. Quasi cent'anni fa, Benjamin aveva sostenuto che la riproducibilità tecnica avrebbe portato a una perdita dell'aura, del senso di unicità che accompagna le opere d'arte.
Si riferiva al fatto che, tipicamente, ai quadri venivano sostituite le fotografie, al pezzo unico i molti esemplari. Cinquant'anni fa e con istinto sicuro Andy Warhol si mise a fare foto con la polaroid, e a firmare gli scatti, perché in effetti quelle foto senza negativo erano dei pezzi unici. Ma, ovviamente, erano anche delle anomalie, perché la foto ordinaria, la foto regolamentare, ha un negativo, dunque è infinitamente riproducibile, e lo è a maggior ragione nel caso delle foto digitali.
Chissà cosa avrebbero detto Benjamin (morto nel 1940) e Warhol (morto nel 1987) se avessero potuto prevedere che ora questa riproducibilità è cresciuta in modo vertiginoso, giacché l'immagine si moltiplica in ragione dei luoghi in cui è riprodotta o, più correttamente, da cui è possibile accedere alla rete. Concretamente, se digito "Brillo box"+"Warhol" su Google ottengo quasi novemila risultati, e se seleziono la ricerca di immagini trovo quasi tremila riproduzioni della Brillo Box, la scatola di pagliette per pulire le pentole esposta da Warhol nel 1964 e considerata una icona pop.
Ma se faccio questa ricerca sul mio iPad ho le tremila immagini a disposizione in un altro luogo, e così se cerco sul mio iPhone. Risultato: sul medesimo tavolo, a distanza di pochi centimetri, ho a disposizione virtualmente novemila immagini della Brillo Box, e ventisettemila siti che ne parlano o la riproducono.
Ben lungi dallo sfuggire queste tecniche di iper-riproduzione, Nespolo le colleziona e se ne circonda (nella sua Factory ha una immane raccolta di cineprese, e non si perde un solo oggetto tecnologico, dai juke box all'iPad), e questo vale anche per il suo rapporto con la moda e per la modernità . Si è insistito tanto sul fatto che la moda è una forma d'arte senza ragionare a sufficienza sul fatto che è non meno vero che l'arte è una forma di moda, e non può non esserlo, anche perché così era già prima dell'imporsi dell'arte romantica che ha espulso in linea di principio qualunque valore di utilità dall'arte. Ecco il significato di New York, come lo leggiamo nella biografia di Nespolo: alza gli occhi verso i grattacieli e li abbassa verso le vetrine. Riuscire a passare dalle cravatte e dai vestiti di Brooksfield a Fluxus è il segno di un genio di trasfigurazione.
Dalla Grande Arte Concettuale alla utilità più concreta, sino a quella estrema disutilità appoggiata soltanto da un sogno di bellezza ornamentale che sono appunto le cravatte. La moda, le stoffe, i tappeti, i centri commerciali, questo è il bello del nostro tempo, e un artista intraprendente non può far finta di niente. Sarebbe legarsi a una concezione di altri tempi, forse di nessun tempo, se si pensa che con i feuilleton era già in opera nella letteratura sin da Balzac.
Proprio in questa versatilità espressiva, dicevo, sta la ricchezza della riflessione concettuale di Nespolo, che non si limita alla enunciazione del concetto, ma cerca la forma che possa esprimerlo, e lo fa frequentando ogni forma d'arte o di tecnica. Insegnandoci che il genio non è solo ispirazione, ma anche traspirazione, e che, ben lungi dal non avere regole, il genio ne ha molte di più degli altri.
(Dal catalogo della Mostra NESPOLO A MODO MIO tra arte cinema e teatro, a cura di Alberto Fiz, Centro Saint-Bénin, Aosta dal 21 ottobre 2017 all'8 aprile 2018, Catalogo Magonza, Arezzo)