ARTISTA Antologia Vittorio Fagone

Vittorio Fagone

Casa d'Arte Nespolo
Le figure e le cose


"Nulla esiste di piatto, di vago, di accennato, tutto è definito e palpabile e percettibile." (Fortunato Depero, 1919)

"...noia per l'artista monomediale, personaggio patetico e monovalente che adora lo specifico e detesta uscirne foss'anche di poco. Per questo ho cercato di darmi un modello diametralmente opposto, ho ripensato all'idea di artista come ricreatore del mondo o forse ricostruttore del mondo. I modelli stanno nelle avanguardie storiche e nel loro sogno di portare l'arte nella vita. Cosi ho invaso campi affini, l'arte applicata tutta, lo scambio dei ruoli, il mettere il naso in altre faccende." (Ugo Nespolo, 1994)


Ugo Nespolo costituisce un caso singolare nel panorama dell'arte italiana contemporanea. Egli scavalca di continuo il confine tra ricerca visuale ed espansioni decorative di una rappresentazione fortemente individuata dentro una coerente chiave stilistica. La sigla della più fortunata trasmissione televisiva di Renzo Arbore, lo spot di Campari trasmesso tra le partite del campionato mondiale di calcio, i manifesti per "Azzurra" e per il Salone dell'automobile di Torino, le scene e i costumi dell'Elisir d'amore, rappresentato in questi giorni all'Opera di Roma, i mobili, le ceramiche, gli orologi, gli inconsueti decori per automobili e motociclette, i disegni per tessuti e arazzi, sono momenti non secondari del suo lavoro caratterizzati da declinazioni innovative e sperimentali costanti.
Nespolo è, da trent'anni, uno degli autori di maggior rilievo del cinema indipendente, e in particolare del "cinema d'artista". Questo aspetto della sua attività, al quale il Centre Pompidou ha dedicato una grande mostra nel 1987, è stato ripresentato quest'anno dal festival "Videoformes" di Clermont Ferrand. Scenografo di prestigio internazionale, Nespolo è, prima di tutto, l'autore di numerose opere (pitture come puzzle, come ricami, come tessuti e intrecci, come veri e propri teatrini) che configurano una misura inedita, "popolare" e insieme colta dell'arte italiana.

Attualità e contesti
Dopo aver lavorato per almeno due decenni "controcorrente", Ugo Nespolo si trova oggi a occupare un ruolo che viene considerato di piena attualità. Non è difficile spiegarne le ragioni. Di quella che è stata definita la rivoluzione postmoderna degli ultimi anni, Nespolo non ha assunto sicuramente gli stilemi, le pallide e acerbe tonalità pastello, le effusive e sbilenche ridondanze; ancorato com' era a un più determinato universo plastico in cui si bilanciavano le vitalistiche espansioni futuriste e le sagome decise della pop art, si è trovato tuttavia in posizione di precursore, in situazione di obiettivo vantaggio rispetto a due strategie creative oggi rivalutate.
Il mutamento dell'ultimo decennio nel mondo delle arti visuali rivela caratteri contraddittori, e per qualche verso, opposti. Nel nuovo contesto trovano evidenza e significato le inedite immagini immateriali, elaborate dalle nuove tecnologie, all'incontro tra figure del canone visuale tradizionale e originali peculiarità (dinamiche e temporali oltre che luminose) dell'immagine elettronica. Si scopre però, nello stesso tempo, la persistenza e la necessità di valori estetici, complessi e non solo primari, di una cultura decorativa non più obbligata alla regola economicista dell'essenzialità funzionale moderna.
Il ritorno della ceramica e dell'"oggetto d'arte" in genere, ad esempio, ben registrabile nel lavoro di Ugo Nespolo, considerato in questa generale e attuale prospettiva, va interpretato non come un arroccamento difensivo, manieristico e anacronistico, quanto piuttosto come un riesame, sperimentale e nello stesso tempo concreto di risultati efficaci, della produttività della relazione arte-tecnica. Se si tiene conto di tale dato, la convivenza, all'apparenza "paradossale", nello stesso nucleo vivo di interessi attuali del mondo delle arti di immagini senza corpo e materia, dotate di capacità non solo rappresentativa ma di valida significanza estetica, e di materiali tra i più antichi che abbia elaborato la fattualità artistica, può non risultare contraddittoria.
Il ritorno della ceramica degli artisti, fenomeno la cui portata ed estensione internazionale non poteva sino a qualche anno fa risultare pronosticabile, può avere tuttavia un'altra chiave interpretativa, anch' essa legata alla più veloce realtà contemporanea. La ceramica è fuoco, ma anche e prima terra. Il bisogno di trovare un rapporto di alleanza piuttosto che di dominio tra produzioni e artefatti dell'uomo e realtà ambientale naturale è uno dei parametri fondamentali della mutazione, antropologica prima che culturale, di questa fine millennio. La ceramica, segno antico e primario della necessaria vicinanza dell'uomo alla terra, può risultare ancora un emblema oltre che un'area fertile di esplorazione creativa.
Da una posizione obliqua, Nespolo è, probabilmente, l'erede della grande unimmo ricostruttiva del futurismo. Si ricorda spesso che i futuristi volevano distruggere il mondo delle tradizioni e della convenzione (Venezia come il chiaro di luna), meno di frequente che essi intendevano modellare un mondo nuovo facendo saltare il confine tra arte e vita a favore di una perfusione immaginativa di ogni interrelazione sociale e comunicativa. E noto che Fortunato Depero ha operato più di tutti in tale direzione; l'artista di Rovereto ha lasciato un'impronta decisa non solo nella pittura italiana del nostro secolo, ma nel teatro e nella radiofonia, nelle arti decorative in genere e nella grafica pubblicitaria in particolare. Propugnata da Balla e Depero nel famoso manifesto Ricostruzione futurista dell'universo del 1915, l'espansione della creatività futurista trova diffusione e conferme significative nel secondo futurismo, fenomeno che ha manifestazioni interessanti negli anni Venti e Trenta in tutta Italia e di cui la Torino di Fillia e Rosso può considerarsi capitale, cosi come Milano e Firenze, negli anni Dieci, per il primo futurismo.
Il nome di Ugo Nespolo è spesso accostato a quello di Fortunato Depero, e non senza qualche ragione, se ne vengono valutati attitudine e versatilità. Lo scenario su cui opera Nespolo è però ben diversamente "sofisticato". Nespolo non può certo lasciare varchi, oggi, a progetti e manifesti totalizzanti. Non sono possibili equivoci, soprattutto se si analizza la specifica eredità futurista torinese che Nespolo ha potuto misurare partitamente, e in modo critico, già mentre dialogava con i primi movimenti, sempre torinesi, dell'arte povera (Pistoletto e gli altri) alla fine degli anni Sessanta. La casa d'arte Nespolo è espressione mutuata dal lessico futurista (le case d'arte Balla, Bragaglia, Depero sono famose e ben disegnate nella loro composita realtà dal poeta Cangiullo) per designare tanto il luogo - l'atelier dell'artista - quanto il complesso delle attività creative che vengono coinvolte non solo dentro uno stesso nucleo immaginativo e tecnico ma nella collocazione fisica di spazi e ambienti. La casa d'arte è multimediale ante litteram, produce pitture e oggetti, mobili e ceramiche, macchine per intonare rumori e costumi. Si può dire che non c'è espressione della vita quotidiana che non ne venga contagiata. Il grande studio di Nespolo in via Duchessa Jolanda a Torino, illustrato in questo volume, è anche, nello spirito della casa d'arte futurista, la spazializzazione di un complesso ragionato di attività creative. La rassegna che qui viene presentata ne riproduce in modo indicativo le sezioni e i percorsi.

L'opera visuale

Nell'opera visuale di Ugo Nespolo è fondamentale la riflessione, espressa in chiave d'intelligente e complice ironia, sul lavoro delle avanguardie artistiche. L'ironia, caustica ma anche capace di stabilire e attivare inedite strutture e percorsi comunicativi, è diretta, con strategie volta a volta diverse, tanto alle prime avanguardie moderne, dell'inizio del secolo, le "avanguardie storiche", quanto alle seconde avanguardie affermatesi dopo il '45. Sforzo costante delle prime e delle seconde avanguardie è stato la liberazione dell'opera d'arte dalla sua determinazione convenzionale. Da qui l'esaltazione del soggettivo e del casuale, del dinamismo rispetto a ogni momento di statica contemplazione, di una fattualità essenziale o automatica, considerata totipotente, rispetto a ogni elaborazione specialistica e disciplinare. Solo da qui infatti sembrava potesse venire un rafforzamento primario dell'unicità e induplicabilità dell'opera d'arte, della sua, ormai decaduta, aura.
Le strategie operative di Nespolo puntano ambiguamente a esaltare una fattualità tecnica, molte volte affidata a una manualità che si rivela costruttiva attraverso la ripetizione minimamente variata di gesti e azioni (gli incastri dei puzzle e le congruenze decorative delle superfici dei ricami risultano in questo senso significativi), l'espandibilità di un nucleo d'immagine fortemente marcato. Conseguente è l'iterazione di una cifra che afferma un paradossale "stile", dalle regioni artistiche che più si sono dichiarate contrarie a ogni forma di stilizzazione. Questa condizione conferisce al lavoro di Nespolo una qualità, riconoscibile e godibile, di gioco in acrobazia invitante e insieme difficile per chi non si limiti a guardarne, dalla distanza, evoluzioni e spostamenti di senso figurale. I grandi quadri dell'artista, complesse ed elaborate strutturazioni iconografiche, risultano rivelatori di intenzioni e strategie critiche oltre che poetiche. La prima e più evidente ragione è una dinamica compositiva che struttura il campo figurale mentre ne destruttura articolazioni e singoli componenti. Il puzzle diviene un costante ed esplicito riferimento, gioco combinatorio bloccato dentro un'unica risolvente possibile. Una seconda motivazione è determinata dal particolare atteggiamento che ogni opera di Nespolo assume verso il contesto delle ricerche d'avanguardia. In una sorta di veloce contrappunto Nespolo tiene a demistificare ogni eroica e ascetica tendenziosità del sublime alla moda per espanderne la vivace qualità decorativa.
Specificità e generalizzazione dell'operare artistico vengono in questo modo intrecciati in un chiasma creativo. Il dettaglio diventa universalità e viceversa. Conseguente è un'espansione lucida di ogni articolazione comunicativa, una vera e propria invasione di segni lucenti e insieme ubiquitari. Nel grande quadro Il museo, di recente riproposto dalla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea dell'Accademia Carrara di Bergamo, ad esempio, la pittura degli anni Sessanta e Settanta, dalla pop art al concettuale, viene ridotta, alla lettera, a un'unica trama compositiva. Soggetto e oggetto di osservazione si scambiano distanze e sguardi possibili coinvolgendo lo spettatore dentro gli aggiustamenti di un'esplorazione comparativa e nello stesso tempo distintiva. La convincente e disincantata felicità della pittura di Nespolo attraversa i formati, i decori e le icone della "grande pittura", le scritture e le veloci figure dei nuovi graffiti urbani, le traslucenti immagini dei media elettronici dentro una salda e fluida sintesi ridefinitoria. Nella dimensione estesa, l'equazione che fu cara ai maestri del futurismo - l'arte invade la vita, che Nespolo ama ricordare - ritrova senso e ironico splendore di innascondibile verità.

La grafica pubblicitaria
L'arte delle avanguardie del nostro secolo non vive solo nelle opere visuali eccellenti ormai consegnate agli spazi dei musei, ma ha dichiarazioni innovative ed esplicitazioni non meno clamorose nelle produzioni grafiche destinate alla grande comunicazione. La storia del futurismo, del costruttivismo, del Bauhaus, del surrealismo passa attraverso i grandi manifesti, destinati alle strade e alle piazze, con un impatto ben determinato e subito comunicante.
Il lavoro di Ugo Nespolo nel campo della grafica pubblicitaria, certamente uno degli aspetti più interessanti della sua vasta attività creativa, legge le ardite scansioni grafiche dell'arte d'avanguardia del XX secolo mentre ne ripropone un'originale sintesi. In ogni foglio realizzato dall'artista è cosi riconoscibile l'articolata composizione visuale tipica di ogni sua immagine e la scansione "moderna" del campo grafico proposto. Il risultato è sempre un'immagine complessiva, innovativa, in grado di comunicare non solo informazioni, ma qualità e specificità di un'icona in cui elementi figurali e tipografici si accordano dentro una stessa felice misura.

L'oggetto d'arte: la ceramica
Per un artista come Ugo Nespolo, curioso di ogni scarto ridefinitorio tra giochi dell'immaginazione e risultanze espressive, animate da un uso virtuoso di ogni strategia e operatività tecnica, materiale e immateriale, l'incontro con la ceramica, realizzato negli anni Ottanta con la collaborazione di alcuni valenti artigiani ceramisti di Faenza, non può non considerarsi fatale (conservando all'aggettivo tutta l'ambigua carica denotativa, ironica e volutamente démodé, proprio nello stile di Nespolo) o, più semplicemente, inevitabile. C'è un precedente del quale Nespolo utilmente ha potuto tener conto.
L'interesse degli artisti del secondo futurismo per la ceramica, ben documentato negli studi dedicati all'attività sperimentale di committenza di Tullio Mazzotti ad Albisola, può costituire un termine di riferimento ancora più specifico. Agli artisti futuristi interessava smitizzare la fisionomia convenzionale del manufatto ceramico d'uso per stabilire una nuova, coerente e innovativa "fisionomia d'oggetto" in grado di interagire creativamente con il paesaggio domestico quotidiano. Da qui una serie singolare - per fogge, campiture e accostamenti cromatici, motivi decorativi - di produzioni ceramiche.
Ugo Nespolo, come gli artisti futuristi, opera per una non convenzionale definizione dell'oggetto ceramico, ma non è certo inconsapevole di quanto è stato realizzato, dopo quegli anni, da autori come Picasso e Léger, Miro e Jorn, Fontana e Baj (peraltro, questi ultimi, amici ed estimatori del suo precoce, dissacrante e insieme costruttivo talento). Con l'inconfondibile vena giocosa e irridente, ecco la consapevolezza del materiale (asprezze e ambigue dolcezze), la declinazione decorativa corsiva e insieme paradossale, il verso alle formulazioni dotte della maiolica, espresso in modi popolareschi, e a quelle compiaciute di una desueta e ormai impossibile cultura folklorica, trascritte in un'ostentata cifra moderna, anzi postmoderna. Il risultato è un'opera ceramica di forti segni comunicanti, poco incline alle "retoriche della materia", ma risonante di acuti e colorati "strilli", animata da guizzi dinamici e articolate sovrapposizioni, ma sempre in una complessiva ben calcolata misura. Scultura e oggetto decorativo scoprono, in questa dimensione, una perduta, o forse ritrovata, per scarti progressivi e paradossali, vicinanza.

Il cinema
In una distinzione di base, fondamentale per la comprensione delle opere del cinema sperimentale, si distinguono il cinema, industriale, di "intrattenimento", destinato a una platea vastissima, che privilegia lo spettacolo e si sviluppa nei modi e nei tempi di un "racconto per immagini" e che ha i suoi autori e prodotti "eccellenti", e il cinema di ricerca, per il quale lo spazio e l'utenza del cinema sono ogni volta da formulare, l'obbligo dei "cento minuti" di spettacolo non vincolante, la mimesi realistica di un'evidenza credibile per tranches o sequenze congruenti, non da rispettare come norma assoluta, come unico criterio di significazione. L'altro cinema sperimenta la possibilità di produrre immagini in espansione non rettilinea, come sosteneva più di cinquant' anni fa Jean Cocteau, di stabilire criteri di ordinamento delle immagini nel tempo che consentano altri, non chiusi, modelli di lettura: letture trasversali, di "senso".
In questo secondo spazio del cinema il lavoro degli artisti ha una particolare rilevanza. Una linea si può dire ininterrotta lega le esperienze del cinema futurista e surrealista a quelle realizzate dagli artisti negli ultimi decenni. Il cinema degli artisti, in questo periodo, esalta la virtualità e la duplicabilità dell'immagine, contraddice il feticismo dell'opera-merce.
Nespolo ha ripercorso nel suo cinema molti luoghi storici di queste ricerche e non sarà perciò inutile segnarne alcuni sommari caratteri. Il cinema futurista e quello surrealista (Vie futuriste e i film di Man Ray e Picabia) considerarono essenziale la partecipazione degli artisti stessi tra le figure del film: da qui un potenziamento dell'azione del film come gioco creativo e anche un più stretto rapporto arte-vita secondo uno degli assiomi fondamentali di tutte le avanguardie storiche. Nel cinema che viene invece dal Bauhaus è la qualità ottica dell'immagine che è analizzata e potenziata (Eggeling, Richter, Moholy-Nagy).
Altre componenti giocano nel cinema del dopoguerra. La lezione del new american cinema nasce in un'area che gli artisti frequentano (Maya Deren, Willerd Maas e Marie Menken, Kenneth Anger). È un cinema che recupera la verità dell'occhio cinematografico, la sua immensa capacità espressiva e linguistica. Film-makers e artisti per anni lavorano nella stessa area: con la stessa libertà esplorano i confini e le possibilità del mezzo cinematografico. Nella situazione italiana degli anni Sessanta si riproduce la stessa condizione: una stessa cooperativa tiene artisti e film-makers, cerca spazi di diffusione nuovi, propone nuove metodiche di scritture cinematografiche, incisive e dirette. Per gli artisti però il cinema è uno spazio complesso da verificare: qualcuno lo considera un prolungamento del proprio campo di lavoro sull'immagine; i più attenti (Loffredo, Patella, Baruchello, Schifano) ne saggiano l'autonoma consistenza, la diretta capacità di definizione.
Cosi, quando, nei primi anni Settanta, il cinema dei cineasti indipendenti si trincera dentro una difensiva asserzione di luoghi politici come segnali e immagini non più trasferibili, il cinema degli artisti - e non solo a livello italiano - acquista coscienza di poter operare secondo una specificità che non lo distanzia dal campo delle ricerche visuali. Questa specificità consente di superare una doppia serie di equivoci: una condizione di cinema minore, di cinema derivato, non di progetto e definizione; e, all'opposto, un cinema come appendice e un'opera diversamente e più propriamente formulata nella determinazione del campo delle arti visive. Finalmente ci si rende conto che la virtualità dell'immagine cinematografica non è un limite, che essa può acquistare spessore e trasparenza di significati oltre che movimento e durata. Il cinema non è più fuori dal campo dell'operatore visivo: è una pratica specifica nella quale è possibile investire azione, immagine, progetto dentro la stessa misura.

Ugo Nespolo ha realizzato dal 1966 al 1994 quindici film. Questi possono essere raggruppati, cronologicamente e per modelli linguistici, in serie progressive.

La prima, di esplorazione, comprende i film Grazie, mamma Kodak (1966) e Le gote in fiamme (1967). In queste opere Nespolo s'impegna in un'analisi dell'immagine cinematografica, degli effetti dell'ordinamento di due immagini (somma, sottrazione, rafforzamento, esclusione, senso e mutamento di senso), delle accelerazioni, delle accumulazioni di reperti visivi dentro un'unica immagine risultante. È un'esercitazione che conduce a risultati di buona efficacia, a un cinema di veloci suggestioni dove è difficile stabilire un confine tra l'occhio malizioso dell'artista e l'ingenuità (presunta) della macchina da presa, delle sue veloci rincorse.

La seconda serie potrebbe definirsi del teatro bizzarro e stravagante. Il film più significativo di questa serie è La galante avventura del cavaliere dal lieto volto (1966-67). Girato nella campagna lombarda, il film mima un racconto dissacrante che spiazza in direzioni imprevedibili la "piccola vedetta Lombarda" deamicisiana, mette in scena Baj, Fontana, Volpini in atteggiamenti che ricordano le situazioni dei film surrealisti. L'artista è qui nel gioco, e persona del gioco, il cinema si muove per immagini taglienti, accostate con brusca tensione: figuratività e operatività risultano bilanciate dentro immagini vistose nelle quali Baj e Fontana sono compiutamente riconoscibili. Alla stessa matrice surrealista è da riportarsi Tucci- Ucci (1968). La preparazione di una frittella diventa occasione di una catena di eventi magici, operazione che si dissolve in gesti irrealizzabili, in un lungo rituale alchemico casalingo. Nello stile surrealista è l'apparizione del personaggio stravagante, l'araba, la dissoluzione del gioco: la frittella divorata un attimo prima di essere servita. Il ritmo del gioco e il ritmo dell'assurdo si compongono in questo teatro filmato: il movimento delle immagini, ma più il significato che queste assumono, può interpretarsi come un mobile e continuamente aggregante puzzle.

Una terza serie di notevole interesse è costituita dai film dedicati all'opera e all'ambiente degli artisti d'avanguardia a Torino. Si sa che Torino è stata la capitale del boom economico italiano e che insieme alla più grande industria nazionale ha coltivato, negli anni d'oro, l'avanguardia artistica più vivace e aggressiva. Ovviamente fra i due termini esiste una relazione non casuale. Nespolo ama riprendere le opere dell'avanguardia torinese nei luoghi deputati al "piccolo consumo", nelle gallerie. Le immagini sono documento di opere interessanti e registrazioni di un ambiente non solo fisico ma sociale, con i suoi personaggi, le figure obbligate di una società chiusa. A questa serie possono ricondursi Neonmerzare (1967), Boettinbianchenero, dedicati a Merz e a Boetti, e, con una più ampia autonomia, anche A.G. (1968), una lunga registrazione cinematografica di Allen Ginsberg che parla, suona, vive. Questo film, raccolto come documento di un periodo di grandi mutamenti, Nespolo non si è mai deciso a montarlo. Ancora nella serie può considerarsi, ma solo per una certa parte, Buongiorno Michelangelo (1968-69), dove in un caffè di via Roma artisti e critici del '68 (Trini, Palazzoli, Pistoletto, Zorio, Sperone) si muovono come dentro uno strano balletto. È da questo film che inizia in effetti la narrazione eccentrica, una serie che si andrà definendo con una incisività sempre più marcata nei film degli anni Settanta e alla quale sono da ricondurre Con-certo rituale (1972-1973), Un supermaschio (1975-76), Andare a Roma (1976), Il faticoso tempo della sicurezza (Lo spaccone) del 1978.
Andare a Roma è certamente il più complesso ed emblematico dei film narrativi di Nespolo. Esso conserva una capacità acuta di definizione delle immagini, e i continui ribaltamenti tra immagini lette dalla realtà e immagini lette da un cinescopio televisivo ne accentuano la fluidità. Il film è la storia di un atto gratuito, proprio nel senso di Gide, che si risolve in un atto mancato (nel senso di Freud). Un artista sogna di riscattare una vita senza traguardi, senza risposte, attraverso un gesto clamoroso e assurdo, ma liberatorio: andare a Roma e commettere un delitto emblematico. Nespolo racconta nel film come, nella pigra estate di una grande città del Nord, quell'idea assurda coaguli, diventi un progetto da preparare con cura in tutti i dettagli, da coltivare in un segreto assoluto. Il film si carica di questa tensione. Si popola di oggetti minacciosi, di prove, di rimandi simbolici. Il personaggio vive questa sua attesa accanto a una donna incinta. Anche la donna sformata appare come un'immagine dilatata di cui è difficile cogliere il senso: diventa un enigma, una sfinge domestica impenetrabile.
In questo percorso il tempo ossessionato si espande, moltiplica i suoi rinvii.

Quando scatta la decisione, un ritardo, un atto mancato, manda in fumo il progetto. L'artista che ha sognato il grande colpo arriva tardi all'aeroporto. Nel rumore che lo soverchia scopre che a Roma "fa troppo caldo", che non è un gesto che può dare senso a un'esistenza. La dimensione visiva nella quale si incrociano, senza mai entrare in dissolvenza, persone, immagini rinviate o immagini dipinte, opere-immagini, costituisce un continuum precario e mobile. Il tempo che Nespolo registra si dilata fino a provocare la distorsione di ogni evidenza. La narrazione sembra bloccare un prima e un dopo: ogni gesto, per quanto chiuso, acquista alone, non ha contorni, non ha risoluzione. Il cinema di Nespolo nelle ultime prove - da Le porte girevoli (1982) a Time after Time (1994) - non ha rinunciato alle accumulazioni di una storia d'artista; mette a profitto una grammatica visiva sottile e determinata per dare corpo a sfuggenti e oblique narrazioni (o moderne iconologie).

La "televisione breve"
I margini creativi che la televisione si consente sono affidati a brevi e veloci segmenti della comunicazione mediale elettronica: gli spot, i video-clips, le sigle televisive. La raffinata cultura dell'immagine dinamica che Ugo Nespolo ha sollecitato nei film sperimentali si rivela produttiva, anche se diversamente determinata, nelle fortunate prove di "televisione breve" che l'artista ha realizzato. Il gioco ironico della ricombinazione, tipico della figurazione composita e scomponibile di Nespolo, viene attivato in una sequenzialità veloce e coerente nella sigla televisiva di Indietro tutta. L'associazione suono-immagine esalta la ricorsiva aggregabilità dei singoli elementi visuali, di modo che lo schermo sembra presentare un puzzle e insieme un mobile mosaico. La cromia adottata dall'artista sfrutta la lucentezza del colore televisivo giocando su diversi e assai prossimi gradienti di saturazione. L'immagine complessiva risulta cosi ambiguamente "pittorica". Dentro un'icona dei mezzi della grande comunicazione è riconoscibile una densa matrice espressiva.
Lo spot per Campari (1990) accentua gli aspetti dinamici dell'immagine utilizzata bilanciando dentro un universo minutamente disegnato le evoluzioni vertiginose di un pallone da calcio e gli effetti euforizzanti del celebre bitter. L'"allegria" del movimento diventa metafora sorridente e comunicante. Il colorato e vivace incastro visuale, nelle veloci progressioni dell'immagine, ha continui avvitamenti e slittamenti che mobilizzano l'occhio e l'attenzione di chi guarda.
L'immagine video proposta da Nespolo è sempre obbligata alla corrispondente sezione sonora dell'apparato audiovisuale elettronico, Da qui la sensazione che essa operi per espansioni ragionate, per quanto accelerate possano apparire.
Come per tutti gli altri "oggetti d'arte" di Nespolo, nelle produzioni immateriali del video contorni, stacchi o articolazioni sono decisi e definiti. L'efficacia delle sue immagini non rinuncia a dichiarare mai la componibilità delle apparenze e dei meccanismi.

Le piccole certezze e la Grande Bugia
"Meglio è la piccola certezza che la Gran Bugia", scriveva Leonardo da Vinci. Mi chiedo spesso se la Gran Bugia, di Leonardo e la bella menzogna, (la poesia) di Dante non siano la stessa cosa, se il maestro di Vinci non abbia voluto lasciare un preciso avvertimento alle successive generazioni di artisti, diffidare della Grande Bugia.
Le piccole certezze sono nelle cose e nelle immagini con le quali ogni giorno viviamo. Cose e immagini ci appaiono necessarie e consuete, indubitabili. La Gran Bugia ci chiama sempre tendendoci mille illusioni e tranelli. Ugo Nespolo, che con la Gran Bugia ha imbastito una strenua partita, ci invita a saper riconoscere e a non sottovalutare le piccole certezze.

(Dal catalogo della Mostra Casa d'Arte Nespolo, Palazzo della Permanente, Milano, dal 9 giugno al 9 luglio 1995, Mazzotta Editore, Milano)