La rinnovata Ricostruzione dell'universo di Ugo Nespolo
So di non essere originale nell'indicare in Ugo Nespolo il più legittimo erede del Futurismo nell'arte italiana degli ultimi tre decenni almeno, ma in proposito è forse necessaria qualche precisazione che chiarisca definitivamente le idee.
Il Futurismo con cui Nespolo è in diretta relazione non è il solo Futurismo possibile, come la storiografia ha chiarito definitivamente, ovvero il primo, quello che inaugura l'Avanguardia storica e di cui si sta per celebrare il centenario, marinettiano, provocatorio, iconoclasta, distruttivo e autodistruttivo, destinato a consumarsi con il delirio della Grande Guerra che aveva alimentato in modo non certo distaccato.
Il Futurismo che c'interessa, ai fini del discorso su Nespolo, è quello che rinasce dalle ceneri del primo, secondo e forse anche terzo, contrapponendosi al rappel a l'ordre di indirizzo classicista, recuperando la necessità di un progresso artistico che tagliasse i ponti col passato e si conformasse ai modi della società industriale, ma che corregge il tiro rispetto all'autolesionismo del precedente, stabilendo un rapporto più costruttivo con il mondo. Erano stati Fortunato Depero e Giacomo Balla, già nel primo Futurismo, a creare i presupposti per il superamento del marinettismo, proponendo nel 1915 la Ricostruzione futurista dell'universo che indica un nuovo scopo al movimento: l'applicazione delle sue novità estetiche, non solo artistiche (la sintassi dinamico-lineare di Balla e il nuovo plasticismo della scultura di Boccioni, come le parole in libertà di Marinetti o il rumorismo di Russolo), a ogni aspetto del vissuto dell'uomo moderno, come un abito esteriore, infinito, cui avrebbe dovuto corrisponderne uno mentale.
"Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l'universo rallegrandolo", avevano dichiarato in quella circostanza. Sono loro due, usciti indenni, ma sconcertati dal bagno rigeneratore della guerra che ancora lusingavano nella Ricostruzione, a riprendere il discorso in prossimità degli anni Venti, stavolta autonomamente, ognuno a casa propria. Balla, anzi FuturBalla, a Roma, in una dimensione prevalentemente individuale, se non privata, anche quando prende pubblicamente posizione per rinnovare le motivazioni degli anni precedenti la guerra.
Depero a Rovereto, tenendo sempre in grande considerazione Balla, adottandone di fatto la sintassi fondata sulla coincidenza di dinamismo, linea e colore ("il colore, privilegio tipico del genere italiano", aveva affermato l'amico in un apposito manifesto del 1918), ma con impegno più coerente con i propositi espressi nel 1915 e con ben maggiore lungimiranza imprenditoriale: la Casa d'Arte che fonda nel 1920 può essere ritenuta la prima forma moderna di styling business in Italia, ripercorrendo ciò che all'estero si era già fatto fin dai tempi dell'Arts and Crafts o della Wiener Werkstatte. Con la sua Casa d'Arte, producendo decorazione, grafica, scenografia, arredamento, abbigliamento, qualunque cosa gli venga chiesto o voglia chiedere a sé stesso, Depero secolarizza gli intenti ancora astratti della Ricostruzione in qualcosa che non è, semplicemente, un'attività economica, ma un servizio civile e sociale che idealmente mira al progresso spirituale dell'umanità , attraverso il coinvolgimento in una nuova dimensione estetica per la quale arte e vita diventano concetti fortemente intrecciati l'uno con l'altro.
Nuovo Futurismo, quindi, con nuove finalità , pragmatiche, calate nella contingenza del mondo reale, asservite ai bisogni della nuova società industriale, in parte coincidenti con quelle del Modernismo razionalista che in tempi quasi coincidenti avrebbe dato vita, per esempio, al Costruttivismo russo, al Neoplasticismo olandese, alla Bauhaus. Un Futurismo che non ha più in Milano l'originario faro di riferimento, ma ha adottato un policentrismo in cui, dalla fine degli anni Venti fino ai Trenta avanzati, accanto alla Roma di Balla e Prampolini, alla Rovereto di Depero, spicca il ruolo fondamentale di Torino, la Torino che era stata di Balla e che ora era di Fillia, Diulgheroff, Mino Rosso, Oriani, Spazzapan, Farfa, Pozzo, Alimandi, Costa, Marisa Mori, in dialogo continuo col razionalismo architettonico di Sartoris e del giovane Mollino. La Torino oggi di Nespolo, e il cerchio si chiude, come il più perfetto degli ouroboros.
Ma la storia, come la vita dei singoli individui, raramente si manifesta in modo perfettamente coerente e lineare: malgrado il ragionamento precedente, impeccabile dal punto di vista teorico, possa farci credere il contrario, Nespolo è arrivato a riprendere la Ricostruzione futurista dell'universo, "rallegramento" compreso, in un modo del tutto autonomo da un rapporto di filiazione culturale da Balla e Depero o dalla Torino di Fillia e Diulgheroff.
Nespolo, cioè, non è un epigono voluto, semmai si trova a essere un continuatore, uno che si trova a proseguire una certa strada artistica non perché l'ha imboccata fin dall'inizio, ma perché si è trovato a incrociarla, arrivando da altri percorsi, più attuali rispetto al proprio presente. Si è dato il caso, insomma, anche se nel nostro intimo pensassimo, per usare una frequente, ironica espressione di Kurt Vonnegut in Ghiaccio nove, che si è dovuto dare il caso. Perché a lasciare gli schemi generali, entrando finalmente nel dettaglio delle cose, ci si accorgerebbe che le distanze di Nespolo dal Futurismo non sono affatto irrilevanti. Si pensi, per esempio, al cinema (rinunciando volentieri alla retorica di Torino capitale del cinema muto italiano, sede di un museo fra i più belli del settore, non ci servirebbe a niente), che in Nespolo mantiene una funzione irrinunciabile nelle prime esperienze d'autore come in quelle più recenti, influenzando il modo stesso d'intendere la ricerca d'avanguardia e, più in generale, l'espressività moderna, mentre il Futurismo, vecchio o nuovo che sia, gli ha sempre riservato un ruolo marginale, anche in maniera sorprendente, per un movimento che si proponeva di essere progressista, in grado di conformarsi con i mutati costumi della società industriale.
Forse per qualche concessione di troppo a un concetto di arte che, malgrado le apparenze, rimane ancora legato al Romanticismo, quando invece Nespolo si è convinto, fin da tempi remoti, che un'arte realmente moderna avrebbe dovuto abbandonare per sempre la remora romantica.
Una rinuncia che per Nespolo non è stata indolore, corrispondendo di fatto al passaggio dall'Arte Povera e dal Concettualismo, rimasti probabilmente troppo elitari per gli obbiettivi che si prefiggeva, a un'arte più a dimensione di massa, "popolare" nell'adottare i meccanismi di fondo della Pop Art, anche se in una chiave che poco ha a che fare con l'americanismo di Warhol o anche di Schifano, facendo da trait-d'union al suo personale recupero del grande padre storico dell'Avanguardia, non solo italiana, in quegli anni visto ancora come nefasto anticipatore del fascismo. Sembrerebbero differenze notevoli, capaci di incidere sulla sostanza delle cose, se Nespolo non avesse avuto l'acume di fornire un'interpretazione aggiornata della Ricostruzione dell'universo secondo il suo senso più moderno e anti-romantico, se non più artistico, ovvero come pratica che precede la teoria, facendo perfino finta di poter fare a meno di essa.
Per mettere in atto ciò che aveva teorizzato nella Ricostruzione, Depero aveva avuto bisogno di sporcarsi le mani, recuperando un senso artigianale del lavoro artistico, al servizio di tutte le possibili applicazioni che vengono concepite in modo paritario come decorazione, senza più riferirsi a vecchie gerarchie distintive. Gerarchie che invece, nonostante i propositi contrari, sembrano ancora sopravvivere nel manifesto del 1915, dove l'opera di concezione romantica, espressione spirituale che si emancipa dal fine pratico a cui sono sottoposti gli oggetti comuni, "non decorazione", "non applicazione" che ha nella galleria o nel futuro museo le sue destinazioni privilegiate, rimane prevalente.
Nespolo non disdegna certo le gallerie o i musei, ma non c'è dubbio che non pensa di dovere fare arte per quei luoghi, per le visioni particolari che essi riflettono, spesso asettiche, intellettualistiche, chiuse in un idealismo che stenta a confrontarsi con il mondo reale.
L'arte di Nespolo è fatta per la vita degli uomini, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue intersecazioni che obbligano alla multidisciplina artistica, perché nella vita reale non esiste il suono separato dalla vista, o il movimento dalla stasi. Nessun artista contemporaneo si è offerto più di Nespolo di decorare la vita, di ambientarla, sfruttando fino all'estremo le molteplici, svariatissime applicazioni che l'arte può assumere. Non con atteggiamento di superiorità , come di un intellettuale "alto", presuntuoso inquilino dell'Elicona, che si degnasse di istillare un po' del proprio genio nel vile oggetto pratico, ma nella convinzione che la decorazione del mondo, come già molta arte moderna aveva compreso già alla fine dell'Ottocento, sia il suo vero compito, il più nobile, civile, ambizioso, essendo nel contempo anche il più divertente.
Ambientatore delle nostre vite, rallegratore dell'universo: cosa si potrebbe pretendere di più non solo da Ugo Nespolo, ma da un artista impegnato? cosa gli si potrebbe chiedere di più impegnativo?
(Dal catalogo della mostra Nespolo my way, Palazzo Mostre e Congressi, piazza Medford, Alba, dal 28 settembre al 28 ottobre 2007, Adarte Edizioni, Torino)