ARTISTA Antologia Danilo Eccher

Danilo Eccher

UGO NESPOLO: SEMPRE DI CORSA

C'è una fotografia, ormai molto nota, che ritrae Ugo Nespolo giovane seduto su una sedia a gambe incrociate con il giubbotto di pelle e gli occhiali da sole, avvolto da una ragnatela infinita di fili che lo legano all'ambiente e ad altri personaggi, mentre un folto pubblico lo guarda sbigottito, incuriosito, divertito. Poco prima aveva portato per le sale della GAM di Torino un cartello con la scritta "L'art est inutile. Pas d'art a bas l'art" assieme a Gianni Emilio Simonetti e a Ben Vautier il quale, a sua volta, aveva dipinto con i capelli una lunga striscia di colore lungo le sale del museo. Era il 26 aprile 1967, giornata inaugurale del Museo Sperimentale alla Galleria d'Arte Moderna di Torino, era il giorno in cui avvenne ‘l'attacco Fluxus', una performance improvvisa, non autorizzata, irriverente e anarchica che doveva scuotere l'elegante borghesia sabauda accorsa all'inaugurazione. Effettivamente le fotografie d'epoca ci raccontano di volti sorpresi, alcuni imbarazzati, altri irritati, molti sorridenti, persone accalcate nelle sale per respirare una presenza, con la consapevolezza che quella ‘follia' sarebbe passata alla storia dell'arte italiana. Altri ‘attacchi Fluxus' si erano già realizzati in Europa e l'eco di quelle imprese si era diffuso ovunque nel mondo dell'arte, generando stupore e curiosità. Ugo Nespolo partecipa a questo ‘assalto' con la vivacità e l'entusiasmo del giovane artista ma, al contempo, sarà questa una vera dichiarazione poetica, una scelta intellettuale alla quale Nespolo dedicherà il suo intero e molteplice percorso artistico. Gli elementi grammaticali di questa prima, importante, azione sono gli stessi, declinati in sempre nuovi linguaggi e differenti toni, a caratterizzare il linguaggio e l'intero racconto di Nespolo. Potrà così partecipare, in giacca e cravatta, alcuni mesi più tardi al 'Concerto Fluxus' del 6 giugno 1967, alla Galleria la Bertesca di Genova, ma sarà nel marzo dell'anno successivo, poco prima che a Parigi esplodesse il ‘maggio ‘68', che alla galleria Schwarz Nespolo potrà presentare, con il supporto critico di Pierre Restany, l'accumulo caotico dei suoi lavori in una mostra straordinariamente inventiva, ricostruita, almeno in parte, alla GAM di Torino nel 2012. Un modello espositivo, possibile allora per la scarsa presenza di pubblico, utilizzato anche da Harald Szeemann nel 1969 alla Kunsthalle Berna per la mostra "Live in your Head: When Attitudes Become Form", in entrambi i casi si tratta di ambienti riempiti di oggetti, installazioni, vetrine che invadono completamente lo spazio obbligando il visitatore ad un tortuoso percorso che al contempo richiede il sacrificio dell'impegno interpretativo e la partecipazione concreta, fisica, ‘esistenziale' all'opera. Nella mostra di Nespolo alla galleria Schwarz, le opere sono affastellate disordinatamente sul pavimento, alle pareti, appese al soffitto, l'idea generale è quella di un paesaggio indistinto, un unico grande disegno che assorbe i dettagli, che acceca i particolari, perché, come scrisse Tommaso Trini, "Nespolo interviene sulla ragione delle cose più che sulle cose stesse. Ha inventato ‘pseudo-materiali' che aggiungono l'artificio all'artificiale". Sarà questo ‘andare oltre le cose', sganciare l'idea della creazione dal suo manufatto, liberare la ragione dalla sua gabbia oggettuale a determinare un percorso di ricerca che non può più arenarsi sulla descrizione dell'opera. Qualunque scultura, pittura, installazione frantuma il processo interpretativo in infiniti riflessi, schegge narrative che non possono esaurire alcun significato ma lasciano rimbalzare intuizioni ed emozioni oltre tutte le immagini. Un'opera come ‘Molotov', presentata alla galleria ‘Il Punto' di Torino nel 1968, non può asciugarsi in una lettura asettica della modularità delle ‘pupitres' o della quantità di bottiglie e nemmeno nella superficiale simbologia della miccia. Tutto in quest'opera gioca sulla sovrapposizione dei significati e accetta il coinvolgimento dell'arte in un più ampio contesto sociale dove il lavoro dell'artista si riappropria di una funzione etica, politica, non solo nel suggerimento tematico ma anche negli improvvisi cortocircuiti storico-artistici. Se lo ‘scolabottiglie' di Duchamp era l'oggetto comune elevato dall'artista ad opera d'arte nel processo di decontestualizzazione, le pupitres sono le vesti eleganti di una nobiltà intellettuale accesa dalla rivoluzione. L'elemento ‘dada' non è determinato dall'opera ma dall'ingorgo linguistico fra la rilevanza dei temi sociali, il ricorso a materiali poveri e ‘ready made', e il collante dello sberleffo goliardico, tutto confluisce e si mescola disordinatamente in una narrazione sbandata e obliqua. Ecco allora che lungo i bordi dell'ironia dissacrante si scorgono anche colte e raffinate citazioni, come l'omaggio all'automatismo creativo del gruppo Gutai che proprio a Torino fa la sua comparsa europea nel 1959 per poi confermarsi con la personale di Kazuo Shiraga nel 1962 alla galleria Notizie, in lavori come ‘Senza Titolo' del 1968 dove Nespolo dispone tre dischi di carta che vengono lacerati dall'artista. Un gioco, una performance, una dichiarazione poetica, un'opera che si avvita sul senso del fare arte, e che da un lato accarezza le sperimentazioni ‘automatiche e inconsapevoli' del primo Surrealismo, rilette alla luce dell'Action Painting di Jackson Pollock, e, dall'altro lato, libera quel lato ludico e di piacere infantile che si contrappone al mito romantico dell'artista sofferente e bohemien. Ma è un'altra opera, sempre del 1968, a raccontare, con più complesse sfaccettature, l'orizzonte poetico e l'articolazione linguistica di Ugo Nespolo: sono le "Tavole di Pastore" o, con un'altra titolazione, "Verità e Menzogna", una serie di fogli 100x70 con la riproduzione grafica del modello meccanico elaborato da Annibale Pastore, un filosofo e logico piemontese d'inizio secolo scorso, sul rapporto di veridicità di un sillogismo. In questa serie di fogli, alcuni dei quali millimetrati, coabitano la semplicità di un'immagine modulare, la gravità di un processo logico, il divertimento del gioco combinatorio, l'atmosfera intellettuale e artistica sotto la quale si confonde la pesantezza concettuale con la risata divertita, il rigore della ricerca con l'improvvisazione libertaria, lo studio della strategia per il successo con il più infantile degli azzardi. Sarà proprio questo rincorrersi di significati e questo clima anarchico che permetterà ad Alighiero Boetti, amico e compagno di lavori in quegli anni di Nespolo, di realizzare le prime opere a penna biro con le frasi da decifrare e, successivamente, gli arazzi di parole. E' su questo crinale che si comincia a scorgere una profonda divaricazione fra gli artisti che generazionalmente e geograficamente hanno condiviso le origini della ricerca e ora stanno costruendo il loro futuro. Da una parte coloro che radicalizzano le tematiche più ruvide e rigorose, anche con implicazioni di ordine ideologico: Giulio Paolini e Jannis Kounellis nel rapporto con la Storia e la Classicità; Marisa, Mario Merz, e Gilberto Zorio, nel sentimento romantico delle forze ed energie cosmiche; Giuseppe Penone, Piero Gilardi e Pierpaolo Calzolari nelle profondità esistenziali della Natura. Dall'altra parte, coloro che resistono all'acuirsi di un integralismo tematico e concettuale, rifugiandosi nella specularità teatrale e performativa di Michelangelo Pistoletto, nella finzione di una maniacalità ingegneristica di Gianni Piacentino, nell'esuberanza sghemba di Aldo Mondino, nel gioco irriverente e spiazzante di Alighiero Boetti e Ugo Nespolo. Da un lato la consapevole scesa in campo in un confronto internazionale che non dà scampo e non ammette distrazioni, dall'altro lato, la volontà di difendere una leggerezza individuale che non può essere confusa con debolezza ma che invece rappresenta la rivendicazione della libertà artistica, l'affermarsi di una sorta di volontà di potenza dell'arte capace di strappare ogni uniforme, ogni categoria. È una scelta di solitudine, di lontananza ma, al contempo, esprime la forza di un riconoscimento del ruolo individuale dell'artista, il suo ‘esserci nel mondo', è, ancora una volta, il distacco divertito e istrionico di Duchamp. Si tratta del percorso che in quegli stessi anni, con terribile e feroce ironia, percorrerà un altro grande artista come Gino De Dominicis, la sua ‘risata' in "D'Io" del 1971 è uno degli approdi di questo carnevale dell'arte che insegue il gioco, il divertimento, la maschera, l'inganno, la leggerezza intellettuale del sorriso. Un vasto patrimonio di visionaria creatività che, alcuni decenni più tardi, costituirà anche il giacimento inventivo di Maurizio Cattelan. Dunque, quello di Ugo Nespolo è la permanenza di un intenso flusso linguistico che, al di là delle ovvie distinzioni formali, ha caratterizzato gran parte dell'arte contemporanea negli ultimi decenni e non solo in Italia. Un'attitudine più che un linguaggio, un sentimento più che un calcolo, un modo di essere artista che oscura i punti cardinali, che rinuncia a mappe sicure, che fa dire a Pierre Restany "Oggetti e forme di Nespolo vivono al condizionale non all'indicativo". Proprio questo orizzonte di possibilità, di contaminazione, di piacere sperimentale chiama Nespolo a misurarsi con i nuovi linguaggi, i nuovi strumenti espressivi e l'artista accoglie questo richiamo dichiarando "Grazie Mamma Kodak" e sfidando il cinema sperimentale che proprio negli anni Settanta raggiunge alcuni dei suoi traguardi più innovativi e interessanti. Nespolo conosce i lavori filmici di Andy Warhol, le opere di John Baldessari, i video di Bruce Nauman e Robert Morris ed è in questo contesto che inizia la documentazione performativa di Michelangelo Pistoletto in "Buongiorno Michelangelo" del 1968 o, "La Galante Avventura del Cavaliere dal Lieto Volto ", del 1967, con un attore d'eccezione come Lucio Fontana. Scrive Paolo Bertetto: "All'inizio del cinema di Nespolo c'è la volontà di sperimentare liberamente la macchina da presa e l'apparato tecnico e di mettersi alla prova come autore. Il cinema è un campo aperto, una possibilità di ricerca e al tempo stesso un'esperienza ludica, è un'estensione della produzione artistica e un linguaggio apparentemente leggero che può piegarsi ad esperienze diverse. Come Man Ray e Duchamp, ma anche come Warhol e Joseph Cornell, Nespolo è un artista visivo che fa del cinema e inventa nuove forme di rapporti e di linguaggi, nuove cerimonie di aggregazione ma anche nuove logiche di ricerca".

Il procedere oscillante e scattoso, libero da fissi condizionamenti grammaticali, di quest'arte conduce, sul finire degli anni Sessanta, a ribadire due elementi dalla presenza intermittente fino ad allora nel linguaggio visivo di Nespolo: l'accenno al colore, come reazione al ‘calvinismo' severo del Bianco e Nero, e l'incastro, un intricato processo d'innesto che suggerisce la complessità di un ragionamento e il rapporto fra totalità e unicità. Questi elementi prendono corpo tra il 1967 e l'anno successivo in opere come "Morsettoni", "Triperuno", "Senza Titolo" e "Piccoli Legni", tutti lavori in cui affiora, accanto alla pratica ludica dell'incastro, il piacere di una fantasia cromatica, immerso in una dimensione programmatica che non ha mai il sopravvento e che anzi sfuma nel divertimento dell'oggetto. Il colore si fa strada in questo linguaggio attraverso la parodia della sperimentazione chimica, è l'ossido di ferro che tinge il legno grezzo a dare il primo impulso cromatico come, poco dopo, sarà l'anilina diluita a penetrare nel legno donandogli una soffice caramellosa colorazione. Questa nuova luminosità emerge nel momento in cui l'aspetto compositivo sembra cedere alla seduzione del formalismo minimale, esprime una necessità di stemperare una grammatica che rischiava di irrigidirsi: la fragilità del vimini stava lasciando il posto alla ruvidezza del legno non trattato, i morsetti metallici, già utilizzati da molti artisti coevi, rischiavano di far soccombere la componente ludica, era cioè urgente compiere un salto, creare una frattura. Proprio il colore, nel suo timido affacciarsi alla superficie, nelle sue tonalità primaverili, nei suoi accostamenti dolciastri, provoca il cortocircuito di senso. Quando il terreno si fa solido e il passo sicuro nei territori di un concettualismo rigoroso, ecco l'improvvisa foiba, il taglio netto della roccia che inghiotte il pensiero lineare, l'imbuto carsico in cui scompare il limpido ruscello della ragione. Non si è trattato quindi solo di una scelta formale e compositiva, bensì di un netto capovolgimento di senso per porre in salvo quel dato poetico, gioioso, allegro, sorridente, goliardico che è nell'anima più profonda dell'arte di Nespolo. È in queste opere che affondano le radici tutti i lavori successivi, è alla luce di questi paesaggi che ha preso vita quel fantastico mondo visionario e colorato che ha segnato indelebilmente il linguaggio di Nespolo. Ma per compiere tale passo, per accedere a tale consapevolezza, per abbracciare il coraggio di questa scelta, era ancora necessario affondare la fantasia nel mondo dell'arte, era necessario ricostruire un itinerario, ritrovare una patria, riconoscere un accento. La rinuncia alla deriva poverista, come a quella concettuale o minimale, poteva provocare anche la perdita di un orizzonte più infantile e astratto, difficile ripercorrere l'itinerario cubista, che pure aveva introdotto formalmente il piano geometrico dell'incastro, del rilievo, del colore piatto. Nespolo, agli inizi deli anni Settanta, trova così una solida sponda al suo procedere, in alcuni aspetti della grammatica futurista, non il futurismo analitico delle ‘Compenetrazioni Iridescenti" di Giacomo Balla e nemmeno quello ‘dinamico' di Umberto Boccioni, piuttosto in quello, più tardo, più totale e avvolgente di Fortunato Depero. Sarà proprio l'artista roveretano, del quale Nespolo è grande conoscitore e collezionista, a suggerire l'espansione creativa oltre l'opera, non solo nell'installazione ma nello spazio abitativo, nell'oggettistica, nell'industria, nella pubblicità, nella radio per Depero, nel Cinema per Nespolo. Così, lo studio di Torino diventa una nuova ‘Casa del Mago', il linguaggio si espande, diviene liquido, esonda coprendo mobili e tappeti, quadri e sculture, i colori si accendono, gli incastri si moltiplicano, le superfici si dilatano, Nespolo recita ovunque la propria poesia. È soprattutto il colore a prendere il sopravvento, a infondere nuove luci, a scatenare un'epifania cromatica, così dalle tenui aniline degli anni Sessanta esplodono gli arilici, gli smalti, le lacche, le dorature in una sorta di eccitato baccanale di colori. All'accendersi vigoroso e allucinato del cromatismo, corrisponde il moltiplicarsi caotico dell'incastro, i pezzi del puzzle si rimpiccioliscono e il racconto si frantuma in dettagli, macchie di colore, linee e tagli che fanno scuotere l'immagine, ne scatenano fremiti, sussulti, obbligando lo sguardo ad allontanarsi per non essere catturato dal singolo pezzo di legno, dalla minuscola frattura tra le parti, dal brillare improvviso dell'oro. All'inizio, la narrazione si svolge ancora in un territorio simbolico e concettuale, dominato dai numeri e dalle lettere, i mattoni primordiali del linguaggio e dello sviluppo, poi forme geometriche elementari, piane, irregolari, che lentamente si compongono in figure adulte, mature, in paesaggi e racconti che ancor più esaltano la frammentazione dell'incastro e la vivacità del colore. Lungo questo percorso si rincorrono tutte le tappe della figurazione, dalla ‘natura morta' al ‘ritratto' ma è dal confronto con la Storia dell'arte che Nespolo azzarda i suoi punti estremi, è nella lunga serie dei "Musei" che la narrazione recupera l'intero bagaglio concettuale di quest'arte che pareva soffocato dall'esuberanza del colore e dalla piacevolezza dell'incastro. Affiorano in tal modo eleganti e sofisticate citazioni, invenzioni spaziali e prospettiche, ricostruzioni visionarie di un mondo museale in bilico fra la trasmissione della memoria e la finzione decadente. Si riconoscono capolavori del passato, strategie espositive, macchine di scena e, soprattutto, si coglie lo sguardo del pubblico, quello distratto di passaggio, quello ammutolito dall'estasi, quello compulsivo del fotografo che cerca di rubare almeno l'immagine dell'opera. Questi lavori che soprattutto si sviluppano a partire dall'inizio del 2000, affondano però le radici in una ricerca sorprendentemente anticipatoria che porta Nespolo nella metà degli anni Ottanta in piena rivoluzione ‘pittorica' a sperimentare la tecnica del ricamo, una tarsia fitta, coloratissima, eccitante, con la quale rileggere i graffiti di Jean-Michael Basquiat, ricomporre i barattoli di ‘campbells' di Andy Warhol, ripercorrere le ‘mappe' di Alighiero Boetti. Sono impressioni su panno, lavori più complessi e articolati dei ‘pannolenci' deperiani ma, allo stesso modo, esoticamente attratte dalla contaminazione dei materiali, dalle sorprendenti possibilità narrative, dal nuovo rapporto con il tempo produttivo e con la distinzione fra ideazione ed esecuzione. Lasciare che questi fili scivolino a terra, ricompongano un ordito, raccolgano le immagini dei sogni, è un passo quasi automatico per Ugo Nespolo, la tarsia alla parete precipita a terra e si riconosce come tappeto. Riprendendo la grande tradizione degli anni Cinquanta, ma in realtà l'antica e colta memoria degli arazzi fiamminghi, Nespolo sperimenta anche il rischio del linguaggio tessile, un rischio che l'artista conosce e ha iniziato a sfidare dall'inizio della sua carriera, un rischio di decorativismo e superficialità sul quale ha costruito l'intero paradigma della sua arte, un rischio che gli ha permesso un'agilità espressiva, una leggerezza e un'ironia con cui attraversare l'estetismo di facciata e lascare sedimentare sulle opere infinite possibilità di lettura, ampi strati interpretativi, fitti intrecci critici. Come per una pandemia, un'epidemia virulenta, il contagio dalle pareti al pavimento si espande e diffonde all'intero ambiente, contagia tavoli e scrittoi, librerie e cassettiere, aggredisce gli arredi, s'impossessa della casa, tutto viene risucchiato dalla visionarietà di un'immagine frammentata, il colore si deposita ovunque, il linguaggio modifica il senso delle cose e ne altera la fisionomia. Nespolo accarezza una nuova idea di ‘ricostruzione futurista dell'universo' dove tutto è rimesso in gioco, dove si può cogliere, nascosto sotto gli strati di acrilico e lacca, il sogno utopico dell'Arte Applicata di Walter Gropius immersa nello sberleffo ironico di Fortunato Depero. Si definisce così, tra le righe, il nuovo universo raccontato dalla Patafisica, "la scienza delle soluzioni immaginarie" a cui Nespolo, assieme ad Enrico Baj, aderirà, dalla fine degli anni Settanta, fino ad assumere il ruolo di ‘Protoprovveditore'. Un disegno totale che si manifesta nell'affermazione del potere dell'arte e della poesia, un gioco fantasioso e infantile dove tutto è possibile e dove s'annida ovunque il virus della creatività. Non può quindi stupire se, in questo folle ingorgo di linguaggi e di intrecci narrativi, Nespolo non abbia mai abbandonato, e torni ora prepotente, la pittura, la pratica del disegno, la polvere di pigmento, il diluente, un'immagine stesa per strati e lasciata affiorare fra grumi di colore, linee di grafite, sbavature di tempera e acrilico. È per Nespolo un nuovo approdo del ‘controsenso', una nuova avventura dell'incoerenza, una nuova sfida della contraddizione, l'atteggiamento è quello dell'eroe dispettoso, refrattario alla linearità del rigore, armato di ironia, allenato allo scherzo e al divertimento. Un eroe solido, consapevole, capace di danzare sulla superficialità dello sguardo senza cedere nulla alla profondità del pensiero, atletico nei salti e nelle capovolte come intellettualmente affidabile nel proprio percorso. Nespolo ha sempre abitato l'equivoca ambiguità della leggerezza, non di rado confusa con la superficialità, optando per quel lato anarchico e scanzonato del concettualismo che ha sempre faticato ad essere compreso e valutato nella sua ampiezza. Si è sempre trattato di un rigore e una severità diversi che non hanno mai tradito le origini performative di Fluxus, l'avventura caotica del teatro futurista, le implicazioni poetiche e psicologiche dell'automatismo surrealista, gli enigmi delle indecifrabili provocazioni Dada, le magiche utopie dell'universo patafisico. Nespolo è artista nel senso più classico del termine, creatore di immagini e racconti, architetto e scienziato, poeta e faber, regista e falegname, o, come si potrebbe riassumere, l'ultimo allievo di Luigi Pareyson.

(Testo dal catalogo della Mostra Ugo Nespolo THAT'S LIFE, Fondazione Puglisi Cosentino, Palazzo Valle, Catania, dal 2 ottobre 2016 al 15 gennaio 2017)