Enrico Baj
NESPOLO - Ovvero il pretesto del funzionale
Sponsor est suae quisque fortunae
(Cicerone. De Rep. I. 1)
Eadem mutatar esurgo
(J. Bernoulli, epitafio nella cattedrale di Basilea)
Quello sfigato dell'Ugo t'arriva con Bolex di fianco, Canon davanti e Nagra sul culo, ti pianta cavalletto e baracche e ti gira lì per li, davanti e didietro fa ciac, tra lesbiche dure e dame desnude, deluse da un tal "supermaschio". Il quale latin lover, di cartapesta s'è comprata la testa di quel boia di Beuys e se la chiava la testa con la testa di cazzo, sino allo spasimo orgasmico al Vinavil. Ma ritorna, o Nespolo prodigo! alla pittura, alla lito!
e lui ci ritorna cantando:
un lito qua
una lito lÃ
Quanta grana si fa?
Poca? allora niente, nisba, al diavolo, fatti fottere editore dei miei coglioni!
C'è l'Antidogma, il Pezzana, e lui, fior di Nespolo, pantaloncini attillati e stivaletto bianco: già pensa al prossimo film con gli omosex e il "supermaschio" libero ormai di quel tal Beuys che l'ha già fottuto.
Il linguaggio? C'è quello scritto perché alla fine, se non va la lito
meglio andar poetando
i cazzi propri versificando.
"M'abbiglierò con stivaletti a sei cinghie, il mio
Vibrator cerco, happy-end, qui Stimulator,
sì Wondercrown, voglio Erosex con Intimist.
Inventare, inventare, che cazzo sognate di fare.
Copiare quando vi pare. Questo sì che è inventareâ¦
L'avanguardia è un drappello
sul davanti sta il più bello!
Che figo, l'Ugo Nespolo! da me incontrato una volta a Chicago alle Water Towers che ti aveva tenuto una relazione sul E = Mc2 all'Illinois Scientific Council of America. Si parlò a lungo di materia e antimateria, di energia e di neghenergia, di sinergia ecc. ecc., e già era nell'aria l'Antidogma. Fu soprattutto lui a parlare intrattenendomi sul valore delle Water Towers intese quale monolite idrico. Il problema di queste "Torri d'Acqua" occupava la sua mente da tempo preoccupandolo: ne parlava sempre anche col BelI Captain del Drake Hotel dove allora alloggiava. Stava diventando un'ossessione per lui al punto di farlo precipitare in uno schema mentale associativo e ripetitivo evidentemente monomaniacale: ove la impossibile reversibilità metaforica acqua torre Io angosciava.
La relazione tenuta allo Scientific Council Io risollevò non poco: più determinante, e in senso positivo, fu il nostro incontro: ebbi la pazienza di ascoltarlo a lungo, sinchè superato ogni limite di patafisica acquiescenza e imperturbabilità , dopo avergli vanamente ricordato la equivalenza degli opposti e l'inesistenza di una verità obiettiva e quindi assoluta, volendo riportarlo entro i parametri della strutturazione del linguaggio suo proprio, gli gridai: "Torna alla Lito, lascia la devianza idrica!"
Non mi dette ascolto a tutta prima: eppure quel grido, riecheggiandogli per i labirinti auricolari sin giù per le trombe di Eustachio, era destinato a rimuovere l'assurda litiosi di un così bell'ingegno attorno a una aporia più che mai assurda quale quella delle "torri d'acqua"; là dove quel porsi il problema in termini assolutisti e epifisici poteva definitivamente di lui compromettere la statica, la psicosomatica e ogni altro meccanismo compensativo e equilibratore, Passò al cinema e mi pregò anche di far l'attore per lui come accadde in una particina accanto a Lucio Fontana che voleva
fottere quella grande igienista di mia suocera nella "Galante Avventura del Cavaliere dal lieto Volto": cui seguì per me il ben maggiore impegno di interpretare il Mago in "Con certo rituale arcaico". Quest'ultima interpretazione risultò particolarmente gravosa dovendo io rifarmi culturalmente, per superarlo immedesimandomi al ruolo di quel tal "mago" introdotto da Renè Clair in "Entr'acte", studiandone quindi a menadito la parte e il "d'apres" che ne avrei fatto.
Insistè ancora nel cinema con il "Supermaschio" radunandovi attorno un mucchio di bellissime dame spudorate: ma la sua frenesia visiva, combinatoria, ludica e cromatica, Io risospinse all'amata Dea, alla "Pittura" che riabbbracciò infine pienamente, pur non rinnegando mai (nè ve ne sarebbe bisogno) la processualità filmica e la figura di quello speciale operatore culturale che ne discende. Nel riemergere delle forme per lungo tempo abbandonate, Nespolo tornò rapidamente a quella tipica composizione a puzzle che oltre a costituire la sua tecnica e direi quasi un suo modo d'essere peculiare e costante, si risolve prodigiosamente e addittivamente in un "comporre scomponendo". Tutto ciò, mi sia lecito affermare, apre la via alle più eccelse realizzazioni, laddove si attribuiscono simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti dalla loro virtualità : optionals a parte.
Pro veritate, Nespolo è un pittore unico tra gli artisti di casa e di cosa nostra, il che peraltro induce a considerare l'equivalenza casa=cosa ovvero anche cosa=casa e sul come etimologicamente si giustifichi Io scambio (strutturale? simbolico? che ne penserebbe il Baudrillard de "Lo scambio simbolico e la morte" o il Maffesoli de "La conquete du Present" ? ma forse la migliore risposta potrebbe fornircela solo un Roland Barthes) o ao. Filogeneticamente, ovvero dal punto di vista dell'evoluzione sistematica per gruppi, Ugo Nespolo si differenzia ampiamente dalla mandria artistica che vediamo per ogni dove: etologicamente il suo modo di atteggiarsi, il suo "far la corte" o predisporsi al combattimento o alla difesa del territorio non ha riscontro in altri pittori, nè nelle oche, talmente care a Konrad Lorenz.
Poi nessuno ha mai affrontato dal profondo il problema della identificazione ludismo ispirazione. Per Nespolo l'ispirazione, ovvero la "motivazione", l'occasione, il M.S.I. (meccanismo scatenante innato) è il gioco, il "ludere", il "col-ludere": ben diversa è la posizione di un Nespolo da quella di un Huizinga!
Se dalla storia di gruppo, di clan direi quasi, si passi al particolare, al personale, al soggettivo, al quotidiano, la sua ontogenesi è precisa, inequivocabile, irripetibile: superato l'ostacolo, ahimè gravissimo verso il 1971, della teorizzazione sulle "torri d'acqua", nessun ulteriore indugio parve ritardare la realizzazione di quel "divenire d'una memoria" già caro a Jarry, a Sainmont e lì di seguito a tutto il neo-stoicismo (vedasi tra l'altro il Bellasi nella introduzione a "Dimenticare Foucault" di J. Baudrillard).
Il "divenire" d'una (o della) memoria è qui il continuo realizzarsi che passa pei canali dell'imprinting (Lorenz, Mainardi, Eibl-Eibesfeldt) infantile e il condensarsi per affioramento cosciente dei ricordi del tempo spensierato e felice.
Nespolo è tutt'altro che "infantile" o "giocoso": ma nella "mnemè" ritrova il suo fattore equilibrante compensativo (F.E.C.) e quindi il suo realizzarsi realisticamente realizzando la realtà del "ricordato" imprintato.
Scriveva nel 1964 Raymond Quenau: "Chaque artiste raconte son monde et - nul ne l'ignore depuis le progrès de la psycologie moderne - ce monde est celui de l'enfance". D'altronde non sono forse tra le più belle pagine scritte nel 20° secolo quelle del Walter Benjamin dell'Infanzia Berlinese? Chi vorrà mai, una volta letto, non memorizzare in sè per sempre.
"Bruna Colonna o tu della Vittoria
Tu che sorgi dai giorni dell'INFANZIA
Biscotto inzuccherato dall'inverno."
Qui, caro Mc Luhan, il "mezzo" non è affatto il "messaggio": e il messaggio (o massaggio) poetico, che tu lo voglia o no, resta solo e unicamente un altissimo messaggio del tutto svincolato dal mezzo!
Ma lasciamo pure da parte la volgarità dei mass-media: in Nespolo il libero gioco inventivo e la personalità che ne discende costituiscono, per parafrasare Roger Shattuck ("ln primo aditu Pataphysicae"), "un metodo, una disciplina, una attitudine, un rito, un punto di vista, una mistificazione. Nespolo è tutto questo e niente di tutto questo" L'essere in un certo modo e allo stesso tempo il non-essere, ovvero essere-il-contrario, questa Weltanschaung nespoliana, riportano ogni discorso sul nostro Artista a Lacan e a certe sue considerazioni sulla "parentesi della parentesi" (1966: in "La cosa freudiana", Einaudi, 1972, pag. 65): "......... la parentesi che include gli (10...........01) rappresenta l'lo del cogito, psicologico, cioè il falso cogito, che può anche fare da supporto alla perversione pura e semplice. Confronta l'Abate di Choisy le cui celebri memorie possono tradursi: penso, quando sono quello che si veste da donna".
Il travestimento: tale pare l'essenza di molte delle operazioni culturali più recenti, tale fu spesso l'attitudine, il tentativo deI Nespolo a partire dagli anni '70.
Su un altro versante, quello che interessa l'interpretazione epagogica quotidiana del termine AVANGUARDIA é la sua epistemé, Nespolo sembra fare proprio il motto di André Gidee "entrer dans l'avenir à reculons", entriamo pure nel futuro ma rinculando, motto che alcuni vorrebbero invece attribuire al Valéry dei "Discours sur l'Histoire". Quanto sopra è verificahile in quel suo continuo e sicuro avanzare, nella propria dialettica formale che è una dialettica à rebours, strutturata col repêchage di invenzioni, di motivi, di tematiche, di tecnologie, per dirla in breve di know-how repertoriabili nelle sue opere di periodi precorsi. Ma non si venga tratti in inganno da tale disamina: chè all'obsolescenza di un sistema di know-how sopperisce qui, mutandolo in qualcosa di assolutamente nuovo, l'intuizione rivelatrice di altri additivi formali. Laddove la componente"spaziale", non più limitata alla campitura dello spazio, prende un valore psicologico e mutageno in cui la frustrazione subita si associa alla aspettativa di gioia futura. E la "aspettativa di gioia" non ha niente a che fare con quella che la medicina moderna, bene analizzata da Ivan Illich nella sua "Nemesi Medica", chiama "aspettativa di vita": che, essendo spesso la vita per i più assai squallida, trattasi piuttosto di una "aspettativa di squallore". Nè l'aggettivazione "futura" è legata qui in qualche modo al significato di "futurismo" o di "futuribile", il futuro per Nespolo, lungi dall'essere "dinamismo plastico", è puramente gioia, è orgasmo, è in-put, mettilo dentro insomma! Ma non vorremmo che per orgasmo, fraintendendo, venga inteso quello del "congiungersi in Dio", tipico del celibatariato e di una certa interpretazione delle "macchine celibi": nel fatuo tentativo di ricreare in Dio una neoipotizzazione figurale del concetto di assoluto, concetto da cui fortunatamente il Nespolo, fatta eccezione pel periodo illinoico delle torri d'acqua, si è sempre rigorosamente, direi quasi pedantemente, tenuto distante, anzi equidistante, l'altro termine della equidistanza essendo lo ZERO, quello stesso zero con cui si conclude il calcolo della superficie di Dio eseguito dal dr. Faustroll.
Purtroppo la teoria del celibato e della macchina celibe già cara, ma con ben altri intenti, a Raymond Roussel e a Marcel Duchamp e a poche altre menti illuminate, diede l'estro, attorno al 1975, a tale Harald Szeemann per una notevolissima mostra dedicata appunto alle macchine celibi: mostra notevolissima come abbiamo detto, ma, ahimé!, marcata dalla più impudente apostasia, chè infatti quel tal Szeemann a altro non mira che alla creazione di nuove divinità : quasi non ne avessimo già fin troppe! E' egli stesso a pronunciare, senza che niente ve lo costringa, la propria autodafè e ciò nella introduzione (in catalogo) a una mostra successiva (Ascona 1978: "Monte 'Verità "), ove teosofia e pederastia fanno tut- t'uno: "A dire il vero la serie di esposizioni che mi ero preposto avrebbero dovuto essere articolate nel trittico: Le macchine celibi-La Mamma-Il Sole" e dopo aver spiegato come la Mamma si rivoltò in Monte Verità cosî continua: "Perchè il Monte chiese un suo sacrificio.....pretese che si mettessero a nudo i suoi strati geologici finchè nella mia testa il fascino del tesoro svelato non prese la forma di una nuova DIVINITA'. E LA DEITA' CHIESE VENERAZIONE".
L'organizzazione dello spazio pittorico-perchè di spazio nespoliano si parlava allorchè fummo distratti dal celibato apostante dello Szeemann - è perfettamente allineata con le scoperte dei pionieri della rivoluzione biologica attuale. Nel 1945 Schroedinger scopriva che l'essere vivente non
si nutriva solo di energia ma anche di entropia negativa, cioè di organizzazione complessa e di informazione (vedasi anche in proposito Edgar Morin). Ebbene, lo spazio nespoliano rispecchia ad abundantiam la complessità della organizzazione (interspecifica?) e la quantità della informazione: l'opera di Nespolo, lo si dica finalmente, è sommamente neghentropica.
Ma se Epicuro per primo osò mettere un principio di indeterminazione al centro di ogni spiegazione dell'universo e se Heinsenberg non fece che cercare di tradurre matematicamente questa idea applicandola alla microfisica, Nespolo, unico nelle arti figurative del suo tempo, si è appropriato di così alti paradigmi scientifici, dal clinamen al principio di indeterminazione aI nutrimento neghentropico, imprimendo così alle arti del nostro tempo un deciso tournant che si ebbe precedentemente solo con Leonardo da Vinci. Non si pensi qui, nel nostro marasma attuale, nel progressivo sostituirsi della confusione tout-court alla nutrizione neghentropica, che si tratti di uno scherzo: l'apprendimento e l'appropriazione e l'applicazione di una somma spaventosamente crescente di nozioni è presso Nespolo un fenomeno normalissimo, senza che peraltro si verifichino degenerazioni verso il nozionismo. Con Nespolo finalmente, come con Leonardo, l'arte torna ad essere "cosa mentale". Nespolo insomma non si accontenta, neanche sul piano psicologico, di una "Campbell's Soup" nè tanto meno dei PeIati Cirio o di altri miti del consumismo consumato di oggi. Per questo tanto più imprevedibile e per certi versi inesplicabile sembra essere la sua risposta parafrasando Baudelaire all'eterno quesito: cos'è l'arte?
"L'arte è prostituzione"
e più in là ;
Cos'è l'artista?
"Una puttana di lusso"
domande e risposte che comunque misero in moto i M.S.l. (meccanismi scatenanti innati) per la realizzazione nel 1974 di alcune interessantissime opere, appunto legate a quelle tematiche. Anche in questo caso, come in quello precedente delle torri d'acqua, Nespolo fu probabilmente vittima di un equivoco, dovuto questa volta a un eccessivo approfondimento dei testi della Kate Millet che trattavano il tema della prostituzione, tema particolarmente scottante nell'ambito del femminismo americano degli inizi degli anni '70 (cfr. "La Prostitution", Denöel Editore, Parigi).
Liberatosi anche dalla prostituzione Nespolo riprende la sua traiettoria spaziale - perchè di spazialismo in definitiva si tratta e non di semplice demistificazionismo come sembra propenso a credere il Barilli (in Premio Bolaffi 1975) - e alla costruzione di questo spazialismo, che è all'opposto di un futurismo interplanetario alla Jules Verne o alla Lucio Fontana, tutto collabora, dalle tessere del puzzle all'arte del ricamo, dal "già visto" alla temporalità cinematografica, dal "gioco non giocato" all'immaginario collettivo (Jung?) bene rilevato dal suo maggior agiografo, quel Renato Barilli già citato, come pure da Herbert Lust.
Per le argomentazioni e i convincimenti sopra espressi, la traiettoria, perchè di "traiettoria" più che di "opere" si tratta, di Nespolo è estremamente complessa, colta e sofisticata. Difficoltà di lettura possono derivare dal frequente variare delle tecnologie e degli in-puts necessari a farle marciare: noi ci figuriamo bene quali scosse possano produrre nello spettatore i continui passaggi ad esempio dal cinema al....ricamo. Allo stratificarsi quasi antagonistico delle tecniche si sovrappone frequentemente l'elemento psicologico e quello culturale che portano il Nespolo, ancora una volta unico tra i suoi contemporanei, a intuire come il vero, l'unico stile identificabile e costante della nostra epoca sia il "Kitsch". Secondo Abraham Moles (Psicologia del Kitsch) "il Kitsch è un ambiente di vita quotidiana che si esprime difficilmente senza un supporto concreto.....L'alienazione ne è il carattere fondamentale. Pertanto se il Kitsch è simbolico di una alienazione non ne è necessariamente sinonimo. Il Kitsch non è l'alienazione anche se l'alienazione nella società di consumo ha per la più parte del tempo il Kitsch come distintivo.... Il cittadino dell'epoca Kitsch consuma degli elementi artistici o culturali che ha ricevuto dal mondo esteriore durante il suo tempo libero.... Nella società di complessità , l'intasamento di oggetti e di micro-avvenimenti della vita quotidiana e lo sbriciolarsi della creazione nelIe microdecisioni sprovviste di conseguenze e di
sanzioni, tracceranno l'immagine di una vita Kitsch, valorizzata nello snobismo e che gradatamente tocca la totalità della vita contemporanea.....".
Visitando a Torre Canavese (è sempre la "torre" che ritorna nel destino del Nespolo) nel castello dei Datrino una sua recente mostra ho avuto piena riprova di quanto già da tempo pensavo del Nespolo: e di quel suo identificare, pur attraverso differenti modi, l'arte con la vita e la vita coi simboli distintivi del Kitsch.
Nespolo ha inteso benissimo la valenza super-Kitsch del Museo, di questa struttura inesistente fino a qualche tempo fa e divenuta oggi - contradictio in adiecto - una delle cattedrali dove venerare, con apposite giaculatorie, lo spirito del tempo, il Progresso, il Comfort. Con una ambiguità legata a quella "artificiosità " da lui sempre espressa, Nespolo ha realizzato una grandissima opera demistificatoria del Museo che "si apre a un ulteriore margine di contraddizione in quanto non può essere accolta che da un museo......ln quest'opera egli fornisce un'immagine affabile e dissacrante del museo come casa e tempio dell'avanguardia" (V. Fagone).
L'opera "Il Museo" (m. 10x2,70) rappresenta una lunga teoria di spettatori, lignei e laccati, che guardano le opere appese al muro dell'ipotetico museo: il museo non è poi tanto ipotetico se le opere, con setoso artificio fatte a ricamo, si riferiscono ai nomi più correnti nella museografia contemporanea, da Jim Dine a SegaI a Warhol a J. Johns ecc. ecc.
Se "Il Museo" ci tocca profondamente per l'attacco portato alla connivenza arte burocrazia ministeriale, e per quel suo essere dentro e fuori, opere come "Doppio Sogno" (1979, ricamo su tela emulsionata, cm. 170x 115) si impongono pel dato facciale capace di far scattare una fusione spazialmente perfetta tra materismo, realismo e Kitsch: laddove l'Artista è e appare, autofigurandosi, creatore dell'opera ma negatore di tutte le ipotesi e varianti che ne discendono anche sul piano personale.
Altri puzzle raffigurano copertine di riviste d'arte moderna mutate a suo modo con interventi di Pinocchi e di Spagnole; oppure raffigurano ricordi solidificati dei "bei tempi andati" o ancora oggetti inusitati, laccati, argentati, madreperlati, oggetti ricchi, da ricco, fastosi, stravolti, pesanti e pensanti, finiti, ben rifiniti, leccati. Neo Fabergismo? Bugattismo rivisitato?
"Sono questi oggetti per la stanza dei giochi?" Si chiede Franco Torriani in un dotto intervento. Grave errore: a mio avviso le componenti psicologiche e la pulsione dell'eros tanto più si evidenziano quanto più sia concreto, anche volumetricamente, il supporto su cui Nespolo opera la materializzazione delle proprie traiettorie.
Nella mostra di Torre Canavese sono presenti sia oggetti veri e propri, sia l'intermediazione tra le opere precedenti, i "quadri" diciamo per comodità , e quelle susseguenti definibili come oggetti: senza per nulla voler togliere all'Autore la libertà di concepimento e di realizzazione contemporanea e persino invertita nella sequenza dei modi d'operare (materializzando) sopra descritti. Devesi precisare che per opere intermediarie (e intermediatrici) tra "quadri" e "oggetti" noi intendiamo quelle che pur svolte nella bidimensionalità , vuoi per spessore materico che per coinvolgimento psicologico già inducono all'oggetto: vedasi, per esempio "Security Safe" (1979, legno - acrilico - ebano - madreperla - materiali vari, cm. 100x70) dove Nespolo ci offre un maestoso esempio dell'interpretazione Kitsch che ogni cassaforte nella realtà sottende. Di queste "cassaforti" a prospettiva invertita ne esistono due versioni, la prima a sviluppo verticale, orizzontale la seconda.
Abbiamo parlato di "prospettiva invertita": meglio sarebbe parlare di "anamorfosi", da leggersi con l'ausilio di specchi fortemente convessi, i quali funzionando da raddrizzatori di linee prospettiche permetterebbero una percezione visiva stereoscopica. E tale stereoscopia bene potrebbe essere associata a un effetto di stroboscopia, qualora all'oggetto rappresentato dall'artista venisse impresso un rapido moto rotatorio incentrato su un asse portante. Ma forse allora si creerebbe in Nespolo un conflittualità con conseguente possibile divisione dell'lo (cfr. Laing "L'lo diviso"), di questo lo che tra movimento cinematico filmico e movimento stroboscopico convesso oscillerebbe, incapace d'ogni scelta come l'asino di Buridano. In Nespolo l'invenzione di oggetti veri e propri non ha soste: da "OOPLAA", intarsio in avorio sul tema delle palle da biliardo, a "Avant-garde" costituito da dieci bastoni in ebano sormontati da una impugnatura in argento con impresse, una per una, le dieci
lettere del titolo, bastoni sui quali sembra sorreggersi il claudicante passo di certe avanguardie funzionariali, a "Gentlemen's agreement", a "Fuga in avanti (delle idee)", ecc. ecc.
Ci troviamo qui in presenza non di macchine ma di "oggetti celibi", lucidi, masturbatori, feticistici, rispondenti a quella alienazione possessiva che imprigiona l'uomo agli oggetti nella intimità del suo spazio personale.
Tra l'uomo d'oggi e gli oggetti, ed è questo che Nespolo ha ben compreso, si stabilisce una sorta di relazione Kitsch giustificata moralmente dal pretesto del funzionale. E il modo d'uso quotidiano degli oggetti costituisce uno schema quasi autoritario di presunzione del mondo (Baudrillard). Nespolo, nella sua lucidità o meglio extralucidità creatrice (cfr. Virgilio Dagnino "L'uomo patafisico è extra-lucido") sa benissimo inserire le sue traiettorie nei cicli culturali della nostra civiltà dei consumi dove la nozione fondamentale è quella di accelerazione.
Alla sindrome psicomotoria collettiva che ne discende, così bene figurata dagli esodi vacanzieri e vichendieri (Cfr. "Etaoin" di Beniamino Dal Fabbro) di massa, Nespolo oppone oggi l'enigma estatico di una ritrovata felicità , sicchè pare ripetere con Schiller: "Più nulla temo, perciò lancio al mio secolo la sfida".
(Dal libro: Nespolo Il pretesto del funzionale, Panda's Edition, Torino, tiratura 1000 copie, gennaio 1980)