Le "girandole" e altri modi di scomposizione di superfici e di spazi segnano nel 1966 la prima solida affermazione immaginativa, già molto personale, di Nespolo. Nel maggio '66, nella sua seconda personale con una poesia di Edoardo Sanguineti in catalogo, espone a Torino, a ll Punto, quadri la cui superficie è spartita in modo estremamente semplice, secondo direttrici diagonali, o prospettive che nascono dalle diagonali stesse, e su alcuni dei quali Nespolo è poi intervenuto tagliando la tela, ripiegandola a volte invece l'operazione è soltanto rappresentata, illusionisticamente, creando a volte veri e propri motivi di girandole. Le superfici sono bianche o intensamente colorate in campiture corrispondenti alle spartiture che Nespolo è venuto ordendo.
Si crea una spazialità d'oggetto al dipinto, che da superficie diventa lembo piegato nello spazio; oppure un'illusione di quella spazialità . Inoltre Nespolo espone un oggetto vero e proprio, una specie di scatola legata con un nastro dipinto, espone una girandola come quella dei bambini, e una spirale di carta sostenuta da un bastoncino e in caduta libera.
Il rilievo nasceva da un'esperienza immediatamente precedente queste "girandole" (iniziate nel corso del '65), riguardante lavori in plastica a rilievo e lavori in tela a rilievo, che Nespolo non ha mai esposto.
La semplificazione degli spazi attraverso spartizioni grafiche nasceva da un esercizio in tele del '65 che Nespolo esponeva a Roma in ritardo, e quasi contemporaneamente alla personale torinese presentato da Antonio Del Guercio; ed è questa la sua prima personale, in assoluto; e dall'esercizio stesso del disegno testimoniato in un quaderno pubblicato allora dal Politecnico di Torino, e con introduzione di Albino Galvano. Nelle tele esposte a Roma, in particolare, il fuoco era posto su semplificazioni grafiche e insieme commistioni di elementi, in intenzione ironica e di gioco. Qualche semplificazione più ordinata ed essenzializzata geometricamente prelude in modo diretto soluzioni delle tele con «girandole» e temi affini esposte a Torino.
Alle tele articolate della personale torinese si connette poi il grande «areoplano» realizzato ripiegando una tela, distaccata dal suo telaio, che Nespolo ha preparato per una mostra di giovani al Politecnico di Torino «La lettura del linguaggio visivo», in quel medesimo momento. E contemporaneamente Nespolo, realizzava anche alcune figure ritagliate in legno dell'origami (che preludono soluzioni recenti). Dalle "girandole" al grande "areoplano" erano evidenti alcuni motivi conduttori: una volontà di ridurre la costituzione dell'immagine a un gesto semplice e a modi inventivi quanto mai semplici (come il fare appunto una girandola o una barchetta di carta; e l'intenzione che l'operazione artistica risultasse una sorta di gioco, un fatto assolutamente non drammatico, non concettuale, non di alta ed elittaria cultura; e l'intenzione soprattutto che l'immagine-oggetto conclusiva possedesse un forte accento inventivo, e una capacità di sorpresa. Nespolo intendeva sdrammatizzare, deconcettualizzare la pittura, ricondurla a una semplicità e naturalezza del fare quotidiano, quasi dell'hobby domenicale, e che tuttavia ha una sua precisa necessita, una sua intima attinenza al livello più naturale appunto del fare, come dimensione più autentica di livello umano.
La sua critica alla pittura non la conduceva concettualmente, ponendo sul tappeto il concetto stesso di cultura pittorica e il suo patrimonio, facendone bersaglio di ironia e di demitizzazione o demistificazione · Nespolo scartava dall'incontro con la tradizione aulica e beninteso anche recente della pittura, per sostituire al concetto di esercizio pittorico come dimensione privilegiata colta, il semplice esercizio del fare con immaginazione, e per immaginazione, del giocare immaginativamente ma con il puntiglio e la naturalezza dell'hobby domenicale.
Questo gioco, questo- gesto semplice di immaginare Nespolo lo svolgeva tuttavia entro gli strumenti che erano stati della pittura, ma che appunto riduceva a un livello di estrema semplicità , non per concettualizzazione (come Paolini o altri, per esempio), bensì per riduzione al puro e semplice fare, alla più semplice modalità del fare per immaginazione.
Non era un processo riduttivo, non un assottigliamento appunto concettualizzante, non un impoverimento: perché alla riduzione al livello più semplice corrispondeva subito la più vivace e
sorprendente utilizzazione immaginativa di quel livello.
Quando lo visitai a Torino poco tempo dopo quella personale del '66 pensai subito alla riduzione a una dimensione di semplicità immaginativa, e poi all'intensità dello scatto inventivo da quei termini di semplificazione, del Balla dello scorcio degli anni Dieci e dei Venti. E Nespolo me ne appariva uno spontaneo, ma autentico erede.
I "puzzles" sono nati subito dopo le "girandole" e temi affini (esaurite nella mostra torinese del maggio '66, preparati appena da un mese di disegni alla ricerca di un figurare semplice. Nespolo pensava allora seriamente alla necessità che ogni sua «uscita», ogni sua mostra personale, presentasse un aspetto nuovo di ricerca, fosse in certo modo a sorpresa, e fosse un invito immaginativo nuovo.
I primi "puzzle" li realizza in pochissimi mesi, e li espone sempre a Il Punto a Torino nell'ottobre dello stesso '66 con un'altra poesia di Sanguineti in catalogo. Un precedente di gioco d'incastri era già in uno dei quadri esposti nel maggio, in quel Qui si gioca, che è una prospettiva di stanza tessuta appena sulle diagonali del quadrato del quadro, e ove lo spicchio del pavimento ha a collage incastri di legno, quasi un parquet.
Nei "puzzles" il gioco non è più soltanto un gioco su strumenti primari, superfici ritagliabili e ripiegabili, linee, colori, come nelle «girandole» e affini, ma inventa una iconografia, più o meno infantilistica, del gioco stesso. Ma qui l'infantile non vale tanto come intenzionale iconografia non adulta, quanto modo di figurare il più semplice e piano, il più disinvolto e non serioso (come già è la stessa pubblicità visiva in buona parte delle sue inflessioni).
L'intenzione di Nespolo era esattamente quella di trattare l'immagine semplicemente, usando dunque un'iconografia di semplicità : infatti al semplicismo infantilistico corrispondeva una voluta banalità (non aulicità ) di temi adottati, come programmatica non assunzione (drammatica) di significati, e limitazione invece ad un livello ove l'operazione immaginativa tosse la più elementare e perciò immediatamente efficace, e anche la più ironicamente efficace (verso ogni forma di comunicazione acculturata e drammatica)·
Nespolo aveva del resto già praticato un'iconografia infantile nel ciclo delle «girandole» e affini, con le girandole stesse, con l'aeroplano di carta, ecc. Disegnando fu così spontaneo fissare definitivamente questa iconografia, e il legno gli offri il materiale più diretto, spontaneo ludico e fattuale, immediatamente: legno colorato, naturalmente.
Il processo di costruzione dei "puzzles" era semplice: ritagliare i diversi pezzi, verniciarli, e poi ricomporli nei loro incastri, a costruire figure d'oggetti e di paesaggi · II primo fu proprio appunto un paesaggio Laggiù sul mar del pirata: segui una «fontana», e una «ochetta» di carta. E cosi appunto si definiva la declinazione nell'iconografia infantilistica.
Questa era certo un modo di rispondere liberamente alle suggestioni della cultura del «pop art»: tuttavia l'accentuazione infantile (che pure il «pop art» non ignorava - da Copley a Saul) era per Nespolo un modo di rifarsi all'immaginazione più elementare e spontanea sfuggendo l'iconografia seria prevalente nel sociologismo "pop" (Lichtenstein, Warhol, ecc..).
A suo modo, se mai, Nespolo liberamente si muoveva sulla traccia di quel dialogo tutto all'italiana, e personalissimo, che con i «mass media» (e diacronicamente) Baj era andato conducendo dalla seconda metà degli anni Cinquanta.
Nella nuova mostra a II Punto Nespolo espone numerosi «puzzles» (i suoi primi dunque), due dei quali dedicati a soggetti di "cultura" pittorica (trattati con libera ironia, ovviamente): Picasso e Brauner, e uno dei quali risolto in un grande tappeto, che si ricomponeva in paesaggio, e un altro, infine, già in soluzione magnetica: un grande paesaggio, con sole, e casette.
Lâeffetto dei "puzzles" è di grande freschezza e vivacità d'immagine, e al tempo stesso il gioco dell'immagine cosi banalmente e cosi semplicemente è tutto tessuto di sottile ironia: sugli oggetti, sull'acculturazione, sulla drammatizzazione che ogni proposizione comunicativa della «pittura» finisce per portare con sé, come ha in sé persino appunto la stessa iconografia dei "mass media". Ma ironia anche sulla seriosità di sostituire la «natura artificiale» alla natura naturale: perché Nespolo gioca anche sulla natura artificiale, e non la privilegia affatto, come invece si andava
speculando in quegli anni, particolarmente in Italia (vedi infine, come culmine il Plus vrai que nature, con Ceroli, Kounellis, Marotta e Pascali a Parigi tre anni dopo). E perciò anche il dialogo con l'oggetto non e con la cosa nè la sua immagine nozionalmente distinta, è soltanto nell'ironia che il gioco immaginativo permette in occasione d'una immagine costituita proprio per essere elusa, anziché restituita e rinnovata (ma Barilli lo invita in II ritorno alle cose stesse, ad Amalfi nel '66). Un "puzzle" magnetico, un paesaggio, sâè detto, era gia nella sua personale a II Punto nell'ottobre '66. Ma è nel '67 che Nespolo sviluppa questo modo di arricchire, nel senso di un gioco veramente giocabile da parte del fruitore, il motivo ludico dei «puzzles».
Nascono così i "Napoleoni", ove è possibile giocare con sigle napoleoniche, dorate su fondo bianco, interrompendo in modi imprevisti il pulito rapporto di quell'impaginazione neoclassica ironicamente aulica e Nespolo fu presente con un «Napoleone» al 15° Premio Lissone, (invitato da Caramel, Toniato, e me); nascono così i «puzzles» con frutti uno dei quali nella raccolta sperimentale organizzata allora da Eugenio Battisti a Genova, e finita poi nella Civica Galleria di Arte Moderna di Torino come certi altri «puzzles» metallici piuttosto compositi, giacché ad una parte fissa ritagliata come quelli di legno, per intenderei si sovrappone una parte ad elementi mobili, appunto magnetici.
Il "puzzle" magnetico porta dunque all'estremo il fattore gioco: invita il fruitore ad un'azione, e apre cosi una modalità più ampia di suggestione immaginativa ludica nel repertorio di Nespolo (verranno poi i giocattoli); e direi introduce un elemento di oggettualizzazione ulteriore. Del resto il gioco immaginativo ne esce in certo modo raddoppiato: non è più soltanto il figurare ironicamente, ma il sovrapporre a questo figurare una gamma di nuove possibilità combinatorie-decompositorie, cosi che quella che è già un'immagine infantilistica ironica, finisce per essere scomposta e ricomposta a sorpresa in modo abnorme e incongruo, accentuando la futilità ironica dellâimmagine stessa, e dando in mano allo spettatore lo strumento di un suo svagante ulteriore, naturalissimo «fare» · Nespolo non soltanto esibisce i suoi giochi, ma invita direttamente a parteciparvi· (E intanto avverti come persino appunto il pericolo di una seriosità della denuncia di artificio si smonti di fronte ad un rifrangersi d'artificiosità all'infinito, come in una sorta di gioco di specchi. Se Nespolo non è concettuale perché è sempre intenzionalmente fattuale, beninteso, muove la sua sottile insinuazione d'inquietanti interrogativi sulla realtà a livello indubbiamente intellettuale, in un gioco d'intelligenza non obbligante in quanto tale, eppure sempre vigile e presente).
Nel marzo 1968 Nespolo espone «macchine e oggetti condizionali» alla Galleria Schwarz, a Milano. Secondo un modo di presentarsi che specialmente allora gli sembra programmaticamente il solo possibile, questa personale è nuova rispetto alle due torinesi precedenti; propone cioè non soltanto un lotto di lavori nuovi, ma soprattutto un lotto di lavori diversi dai precedenti, e centrati proprio tutti sul motivo oggettuale.
Questi oggetti Nespolo ha cominciato a realizzarli nel 1967, i primi sono in legno tagliato grezzo, o a incastri colorati; cioè seguono il motivo di un'estrema semplicità di composizione; altrimenti sono macchine, come quella «per trasportare l'aria all'altezza desiderata». Quindi gli oggetti si complicano, non nascono più semplicemente, bensì suggeriscono interruzioni a sorpresa pur sempre in se stessa semplice in oggetti di più complessa costruzione: utili o inutili, che siano. Nascono oggetti singolari, come i vimini.
Macchine e oggetti "condizionali", direi nel senso di una tangenza all'oggettualità quotidiana che spesso adombrano e sulla quale operano trasformazioni, cosi da spiazzare quella realtà appunto in una «condizionalità ». cosi da trasferire l'indicativo al condizionale.
Il risultato è di una continua proposizione di oggetti a sorpresa, o di mutazioni possibili dell'oggetto; quasi che ogni oggetto- potesse riservare un suo risvolto di imprevedibilità , una sua condizionalità appunto. E questa tuttavia si attuasse in realtà , ancora una volta nel modo più semplice di mutazione, deformando per esempio l'oggetto per estensione, permutandone parti, oppure costruendo una evidenza di inutilità dell'oggetto stesso. Cosi il tavolo del "ping-pong" è ridotto alla fascia prossima alla rete; oppure due rulli sono collegati fra loro entro contenitori che promettono un qualcosa custodito che in realtà non è se non la loro stessa forma interna (forma come la "forma"
delle scarpe, per intenderci); e cosi via.
Corre in tutti questi oggetti una continua intenzione di stravolgimento del senso delle cose, giocando sia sulla forma nota dell'oggetto, sia sulla sua nozione. Il gioco della sorpresa - della sorpresa ottenuta nel modo più semplice - avviene soprattutto nel suggerire un esito dell'oggetto (e quindi della sua conclusiva configurazione semantica) diverso da quanto lasciava inizialmente apparire. L'oggetto di Nespolo diveniva cosi, spesso nell'iniziale apparenza di oggetto quotidiano, quale di fatto era il tavolo da ping-pong, appunto, la sega, il morsetto, lo schedario, ecc., infine un oggetto intimamente misterioso, tuttavia senza il procedimento tipico agli oggetti surrealisti e alla loro capacità di sorpresa nella costituzione di un'imagerie tipicamente surreale. Questa imagerie Nespolo non ricerca in alcun modo, nè una semplice associazione per incongruità (secondo la discendenza dalla famosa definizione di Lautréamont). Se mai si potrebbe forse sostenere che Nespolo introducesse nella sua azione di scompaginamento della testualità iniziale dell'oggetto un principio di spaesamento «in re» abbastanza analogo allo scatto iniziale della presa di coscienza metafisica» delle cose che De Chirico suggeriva.
E non a caso, se mai questi oggetti di Nespolo sono più vicini a quelli di Duchamp, che non agli oggetti surrealisti, "trovati", o configurati.
Tuttavia la sorpresa che Duchamp suggeriva per contraddizione, con un risoluto atto di contestazione ideologica sulle strutture di un codificato pensiero della realtà , legato addirittura ad una precisa condizione sociologica di benpensantismo borghese, Nespolo lo ottiene in intenzionalmente assai limitata ambizione ancora il tema della semplicità dunque per mere piccole variazioni, in un gioco insomma appendicolare e di variazione dell'oggetto, piuttosto che di sua frontale contestazione ontologica.
E allo spettatore offre il margine di partecipare ad un gioco appunto di variazione, compiuto appunto su oggetti quotidiani, posti insomma s'è detto quasi dall'indicativo al condizionale, o su strutture elementari.
Questa esperienza di «macchine e oggetti condizionali» Nespolo la ha conclusa praticamente con la mostra milanese del marzo 1968, per riproporli poi soltanto in Alternative Attuali 3, ad Aquila, nell'estate di quello stesso anno, e nella Biennale di Lignano, alle quali lo avevo chiamato.
Nel maggio 1968, in connessione di adesione ideale, ma anche un po' sentimentale, e forse persino un po' ironica, agli eventi di quel momento cruciale della contestazione giovanile europea, Nespolo espone a II Punto a Torino una enorme rastrelliera contenente trecento bottiglie Molotov dopo la mostra l'enorme oggetto è stato lungamente riproposto nel Deposito d'arte presente sempre a Torino; con il titolo: Molotov, tre lavori per una mostra non generica.
Pur entro tutti i limiti, dei quali del resto era consapevole, Nespolo intendeva in qualche modo suggerire a un certo oggettualismo divagatorio di quegli anni, in chiave ludico-cosmetica (contro la quale si era difeso con l'arma dell'intelligenza e del capovolgimento del gioco da virtuosismo confezionistico a provocazione intellettuale), almeno un'iconografia non generica: la coscienza almeno emblematica che l'oggetto potesse essere ancora uno strumento d'uso, e d'un particolare uso contestatorio; e che l'artista potesse porsi «non genericamente» come corrispondente idealmente consenziente di quellâoggetto e di quel particolare uso.
Del resto, ancora una volta, l'oggetto era il più semplicemente costruito era veramente una Molotov soltanto, per l'occasione innocua della mostra, vuota della sua micidiale miscela. In certo modo era un oggetto d'azione, intellettualmente richiamava l'azione, il suo uso, concretamente l'uso che in quel maggio veniva fatto nel Quartier Latin.
E qui si può anche ricordare allora, per l'anno seguente, il 1969, un'altra immagine d'azione realizzata da Nespolo, in quei dischi di carta rotti per esservi appena saltato un "clown"; grandi due metri di diametro, tre in fila, a rappresentare la traccia figurale d'una azione (nella mostra Un percorso all'Arco d'Alibert, a Roma). Una azione «povera», ma che appunto per mantenere tutta la sua povertà (che per Nespolo era semplicità , elementarietà , naturalezza, e non iconografia intimistica della azione artistica «povera»), suggeriva un esito ben diverso dall'oggettualismo "povero" che proprio a Torino, in Italia, in quegli anni (aveva un suo gruppo di attivi cultori e se
mai quella di Nespolo si imparentava piuttosto con l'azione spettacolo che proprio dieci anni prima aveva suggerito il gruppo giapponese "Gutai", comâè noto influenzando la formazione dellâ"happenning" nordamericano).
Nella personale da Schwarz nel marzo 1968 figuravano tre «vimini». Subito dopo Nespolo ne ha realizzati numerosi altri: cesti, fasci, ecc.; molti dei quali sono risultati in realtà mai esposti.
Il "vimini", come tecnica costruttiva oggettuale di schietta tradizione artigiana (sulle sue implicazioni magico-rituali cfr. quanto detto dellâ"intreccio" nellâEnciclopedia Universale dell'Arte), era utilizzato in due modi diversi: cioè costituiva un oggetto finito, sorprendente perché sufficientemente abnorme dal l'orizzonte usuale del l'utilizzazione artigiana (nostrana) di quel mezzo, e perché in fondo «personaggio», in una sua presenza quasi metafisica, al limite dell'assurdo (e che può riproporsi addirittura in modo componibile e seriale, come in certe lance di vimini esposte in Situazione 68 a Firenze quello stesso anno); oppure esibendo il processo stesso - ancor più semplicemente dunque - del farsi di un oggetto di vimini: insomma in sequenza il crescere del cesto nei giri di vimini che salgono attorno alla prima struttura verticale.
Nel "vimini" Nespolo dunque riscatta nel modo più esplicito la tecnica artigiana, in se medesima, utilizzandola cioè in una sua modalità già ancestralmente istituzionalizzata, voglio dire; e al tempo stesso esibisce un tempo di realizzazione dell'oggetto-opera d'arte, implicitamente aspirando a sdrammatizzarne la processualità creativa (allo stesso modo che il richiamo artigiano nega ogni virtuosità di tecnicismo artistico elitario). Realizza vimini, e mostra il processo elementare e tradizionale del realizzarli, sottolineando un tempo della processualità artistica come tempo dell'agire manuale, dell'iterato gesto artigiano, fuori d'ogni rapimento demiurgico.
Al richiamo di gesto compositivo elementare artigiano si rifanno anche alcuni "nodi" di plastica, su supporti di alluminio, paralleli appunto ai "vimini".
I "vimini" Nespolo li ha realizzati dunque già all'inizio del '68 (se non scorcio '67), e lungo quell'anno e anche nel '69.
In questo medesimo periodo ha realizzato anche altre opere oggettuali. Il tema dell'incastro dei «puzzles» lo ha sviluppato in piastre di legno, ritagliate da mettere a terra. Altre piastre, del 1969, in fusione d'alluminio pieno, spesse circa due centimetri, rotonde davanti p. rettangolari dietro, posate in serie per un percorso, riprendevano a rilievo il tema della pelle di leopardo, cioè dell'impronta chiazzata su una superficie (ne ha esposte in una personale a Bologna nel febbraio 1971), come già nelle lastre di alluminio incise a fresa, alcune delle quali nella stessa mostra milanese del '68. E questo della pelle di leopardo è un tipico modo di trasposizione immaginativa usato da Nespolo. Cioè attraverso la mimetizzazione a leopardo si muta a sorpresa la natura dell'oggetto o della superficie sulla quale tale mimetizzazione si compie, e a sua volta risulta sorprendentemente un oggetto-pezzo di leopardo (la mutazione si compie dunque nei due sensi).
Tuttavia la sua più ampia azione figurante Nespolo la ha realizzata nell'ambito dell'VIII Biennale di San Benedetto del Tronto, nel 1969, tematizzata su Al di là della pittura: un grandissimo Sole disegnato sulla pavimentazione dello spiazzo prospicente il porto.
ll tema della mostra offriva l'occasione per un'esibizione dal «povero» al «concettuale» a dimensione quasi cittadina, lasciando il campo dunque a molta seriosità di interventi. E proprio contro questa seriosità Nespolo propone una soluzione elementarissima e popolare, disegnando con un compressore da strisce stradali, in rosa, un grande sole con tutti i suoi raggi, e concludendo iscrivendovi ironicamente: «oh le beau soleil.» La prima idea d'intervento di Nespolo nella manifestazione di San Benedetto era una garbata ironia del concettualismo "land art" pensava di proporre una piantina di San Benedetto, con l'invito: «girate la città , forse troverete Palladio". Il rapporto fruitore-artistacittà si risolveva nell'invito a una salutare e magari istruttiva passeggiata, oppure ovviamente a rinunciarvi, e a declinare la partecipazione al gioco.
Anche qui il livello scelto da Nespolo era quello più piano, più comune, ironicamente del più corrente buon senso. Ma anche dell'intelligenza contro l'ermetismo del falso concettualismo.
E in soluzione figurale il Sole risponde alla medesima mentalità , e tuttavia più concretamente offre
un'immagine-spazio ove sono subito finiti a giocare i bambini, proprio perché era realizzato come il "gioco della settimana", o altri spazi-gioco figurati. I raggi di questo sole dalla strada si espandevano e tuttora si espandono, essendo non facilmente delebile quella vernice sulla strada, per arrivare da una parte su un prato, dall'altra verso il porto. Un gioco che Nespolo giocava anzitutto da sé, sdrammatizzando sul terreno appunto de!l'intelligenza ogni elucubrazione intellettualistica, troppo spesso insidiata da rarefazione di vuoto.
Nella mostra, un po' in realtà eterogenea e contradittoria, ma tendenzialmente comportamentistica, e «povera», e oggettuale e tuttavia anche di pittura, organizzata da Barilli e altri a Bologna all'inizio del '70, e intitolata Gennaio 70, Nespolo si ripropone nell'oggetto che risolve però in grande giocattolo: un grande uccello fatto di spazzole e mosso ad aria compressa. Nel '69 stesso e poi ancora nel '70 Nespolo si dedica ad elaborare veri e propri piccoli giocattoli.
Contro la concettualizzazione della dimensione ludica, contro il gioco che si fa ermetico, che non è più gioco, perché anzitutto non attrae né diverte, Nespolo esplora, con tutta semplicità , il meccanismo mentale e le dimensioni oggettuali del vero giocattolo. Inventa esplicitamente dei suoi giocattoli, accettandone anzitutto la semplicità ed effimerità di risoluzione: deliberata marginalità e superfluità di azione. I primi giocattoli realizzati nel '69 erano di carta, i più elementari e banali possibili, mossi da piccoli motorini a molla. Poi ha realizzato animaletti che saltano, ecc. Qualche giocattolo era un «puzzle» piccolissimo. E l'uccello di Bologna rappresentava un'estensione monumentale di questi giocattoli, naturalmente ad animazione pneumatica.
Naturalmente quell'uccello era anche un oggetto, ironicamente un oggetto fatto di «oggetti trovati», non tuttavia usurati, ma industriali, e «nuovi», le grandi spazzole, appunto. E poi il meccanismo che lo faceva muovere, il compressore non era celato, bens1 tutto a vista. Il gioco c'era, ma Nespolo voleva che fosse tutto scoperto, perché il gioco autentico non necessita una finzione di realtà , giacché si completa in realtà proprio immaginativamente nell'essere agito, nell'essere giocato. Cosi ancora una volta Nespolo suggeriva il livello più semplice, più demitizzato e sdrammatizzato, verso il gioco, come verso l'oggetto, non costruito questo con cosmesi di virtuosismo artigiano, bens1 al limite della sua essenzialità : voglio dire. precisamente, ma non confezionisticamente.
Ma può cominciare ad essere chiaro anche, a questo punto, come Nespolo intendesse procedere non tanto inventando a ruota libera ipotesi di linguaggio, quanto â si potrebbe dire - ponendo dunque al condizionale, dall'indicativo (spesso tautologico, di molto "pop" e "post-pop"), altrettanto che i dati «trovati» della realtà (di una realtà prevalentemente industriale, e tuttavia senza mitografia meccanica o macchinistica), i dati «ricevuti» del linguaggio artistico. Agendo quindi su quest'ultimo in senso critico. E sia pure con quella sottile critica che si fonda sull'estrema semplicità umana del riscontro: di autentico e inautentico.
Verso la fine de1 1969 Nespolo pubblica presso Schwarz un libretto, anziché tenervi una nuova mostra. E' intitolato Verità e menzogna, una alternativa logica.
In un momento, di qualche mese, di più rallentato lavoro creativo oggettuale, limitato alla sperimentazione di oggetti ludici, i giocattolini, Nespolo comincia a interessarsi di logica ed elabora un lavoro, nel quale è poi impegnato a sua volta per diversi mesi. Una sorta di lavoro concettuale, rispetto ai suoi precedenti manuali e artigiani. Lo spunto gli viene dalla conoscenza delle elaborazioni del logico torinese cattedratico Annibale Pastore, il quale fra le sue diverse pubblicazioni, aveva anche delle tavole di verifica sperimentale e meccanica dei sillogismi.
E sono appunto queste tavole che Nespolo riutilizza e pubblica nel libretto edito da Schwarz (e poi più recentemente e in modo più semplice le trascrive con differenziazioni di colori, e le presenta nel '72 nella sua personale alla Galleria Blu, a Milano). Le utilizza al livello logico più semplice, e inventa da parte sua, sul medesimo principio, delle macchinine "pensanti" elementari che ogni 48 secondi passano i rassegna 256 pensieri, cioè tutti i possibili tipi di sillogismo le esporrà nella personale a Bologna, alla Nuova Loggia, nel febbraio 1971.
Queste macchinette che sono in certo modo una versione «logica» dei precedenti giocattolini provocano la rotazione di una lancetta su un molteplice quadrante, attraverso il quale in ogni momento è data una possibile verifica del sillogismo, della sua verità o falsità . In ogni momento
insomma la macchina trasmette un flusso, come dice Nespolo, di verità e menzogna. Le quali allora non solo sono intimamente connesse, come nei casi quotidiani della vita, ma divengono in certo modo intercambiabili.
Nel libretto, che descrive «scientificamente» tutti i passaggi delle tavole logiche dedotte da Pastore, come l'uso e i risultati della macchinetta inventata da Nespolo stesso, questi scrive in apertura: «II sogno pazzesco riferito e limitato al ragionamento deduttivo che l'imperante positivismo logico auspica contro tutte le metafisiche e gli idealismi, quasi un'asettica depurazione che meglio copra le mistificazioni contenute nella società e nel linguaggio che le è proprio è stata l'idea prima da cui è nato il presente lavoro.
«L'idea infatti di un minuscolo complesso pensante o meglio di un generatore di pensieri (flusso) avvicendano senza sosta tra menzogna e verità mi ha portato ad affrontare alcuni aspetti della logica formale che mi sono poi serviti a sostegno della legittimità della economia del complesso proposto. Infatti l'insieme si muove secondo leggi che sono l'esatto opposto dell'arbitrio informale o della poesia e basta, eppure secondo me ne è nato una «macchina del dialogo» dove i mutui scambi (regolati da un codice solo in apparenza misterioso possono diventare pensieri concreti il cui contenuto verità e menzogna s'inseguono in una dialettica sin troppo nota e scoperta».
L'operazione compiuta da Nespolo è nel suo insieme di demistificazione concettualistica, di sdrammatizzazione concettuale. E' chiaro che egli oppone un gioco della logica, con le sue regole, al livello del rapimento mistico concettualistico di molte posizioni correnti, e ne svela la contraddizione di fronte alla logica formale. Di questa si serve per porre il gioco concettuale al suo livello di piu elementare ambivalenza, nel flusso continuo di verità e menzogna. Mentre dellâ"arte concettuale" accusa lâaspetto di ermetismo mistico e di rarefazione concettualistica, divaricando logica, come astrazione strutturale dal livello quotidiano, e concettualismo, come astensione dal quotidiano (piuttosto che sua riprogettazione, come spesso si pretende).
Cosi insomma Nespolo utilizza la logica formale per proporre una provocazione intellettuale autentica, contro falsi intellettualismi evadenti misticamente (ed ermeticamente) dalla realtà . Non fa dunque dellâ"arte concettuale", se non in certo modo in parodia; ma certo dialoga - a livello storico - con i modi dell'arte concettuale, demistificandone però appunto l'ermetico rapimento, a favore di un riporto ai meccanismi più elementari del processo logico, e del suo rapporto con la contingenza quotidiana.
Anche qui dunque sdrammatizza lâarte (lâ"arte concettuale", nuova modalità elittaria, generalmente), e si riferisce al livello più piano, elementare, e semplice ma autentico dell'operazione intellettuale e immaginativa.
Da quest'esperienza non nasce solo il libretto pubblicato da Schwarz nel '69, ma anche dei disegni, sul tema stesso delle tavole dedotte da Pastore, lunghi venti metri, e che sviluppano appunto i segni di quelle tavole, in una sorta di concatenazione di pensieri possibili, come un «rotulo» di logica formale. Li esporrà pure alla Galleria Blu nel 1972.
A portare alle estreme conseguenze la dimensione formativa di lavoro manuale che Nespolo â come ormai sarà del tutto chiaro â ha prescelto quale sua tipica del fare arte senza artisticità nè aulicità sono i ricami realizzati nel '71, ed esposti poi alla Galleria Blu nel marzo 1972.
Nespolo mi ricorda di aver realizzato dei ricami da bambino. Li conserva ancora. In certo modo a quelli idealmente si collega, sul piano del più naturale e semplice, persino domestico dei lavori. Un passatempo, come era allora un lavoro-gioco infantile. Li ha realizzati ora con Daniela, sua moglie, con quell'idea dell'esercizio domenicale nel cui clima, per consapevole scelta, sono nate le prime opere di Nespolo, s'è detto.
Ancora una volta dunque portare l'arte al fatto più semplice, più domestico, meno aulico. Ad un artigianato neppure professionale, fatto da sé, appunto come per hobby. Anche le immagini sono molto semplici, come quelle dei «puzzles». Del resto i ricami appartengono alla stessa famiglia iconografica (ludica infantile), soltanto in altra materia: ancor più inusitata, ancor meno praticata, e ancor più manuale. Manualità , semplicità , non volontà trascendentale di arte, non artisticità come
sublimità . Semplice lavoro come estensione naturale del vivere,-del pensare, professionisticamente disimpegnato (il che poi non vuoi dire professionalmente, è ovvio). Un modo di ritrovare un gesto elementare dunque, e povero, ma non culturalisticamente «povero». Anzi ricco come capacità d'immagine nella sua semplicità d'origine iconografica.
Il traguardo è sempre quello di toccare l'umano contro l'artificiosamente sovrumano, il livello autentico e naturale del vivere, del respirare, dell'agire, contro l'occasione (infine dominata dal consumismo sociologico) dell'artificio sociale. L'arte a questo punto appare per Nespolo un possibile rifugio di libertà , a patto che la si sappia liberare dalle sovrastrutture dell'arte come oggetto di consumo ideologico mistificato perché mercificato (a tutti i livelli: dall'uso come possibilità di potere, all'uso come possibilità di investimento economico).
Il gioco che Nespolo vuole riservarsi, e vuole indicare agli altri è un gioco diverso, libero: autentico, contro l'inautentico.
Nel 1970 Nespolo riprende a lavorare ai «puzzles» in legno. E' una ripresa in grande stile, che dura tuttora. E dai temi figurali dei "puzzles" trae anche serigrafie che espone nel dicembre '70 a Torino all'Atelier, ove sono appunto "puzzles" nuovi, assieme a giocattolini, in una mostra un po' riassuntiva, come sarà poco dopo, nel febbraio '71 quella alla Nuova Loggia a Bologna, ove per l'occasione espone anche riprese dei temi di Picasso e di Brauner ripetuti a intera parete assieme a vimini, appunto a macchinette logiche e anche a «puzzles» vecchi . Ma la vera prima mostra dei nuovi «puzzles» è in realtà soprattutto quella alla Galleria Stefanoni a Lecco nel '70. Infine i nuovi «puzzles» domineranno la personale alla Galleria Blu, nel marzo '72, assieme a nuovi grandi giocattoli.
La ripresa del tema dei "puzzles" è per Nespolo come la rivendicazione di un proprio prodotto immaginativo, molto personale nel contesto delle ricerche della giovane generazione in Italia. Nespolo vuole approfondirlo e arricchirlo. Forse a questo punto della sua carriera non tanto cede lo sperimentalismo, quanto s'afferma l'esigenza d'una maggiore fondazione e d'un più esteso sviluppo problematico dei modi precedentemente di volta in volta proposti.
I nuovi "puzzles" del resto sâoggettualizzano sempre più, essendo spesso scontornati, e avviandosi dunque a raggiungere i nuovi grandi giocattoli che Nespolo realizza, e i teatrini. I "puzzle" nuovi in se stessi non presentano novità tecniche, salvo appunto lo scontornamento più insistito, ma si arricchiscono indubbiamente sul piano degli svolgimenti immaginativi. I giocattoli ora sono grandi, anche se non come l'uccello esposto a Bologna all'inizio del '70. Li realizza nel '71 e '72. Il dato artigianale vi è al massimo evidente. Nespolo invita al gioco, al gioco più semplice e infantile.
Ancora una volta contro l'esibizionismo confezionistico di tante proposizioni d'oggetto, suggerisce un oggetto elementare, piano, di soluzione artigiana semplice e non virtuosa, senza preziosismi formali, ma con la naturale classe del ben fatto, del naturalmente, semplicemente ben fatto. Ai vacui ludismi, Nespolo oppone il ritorno al gioco al suo più autentico livello, ancora una volta.
Del resto anche i "puzzles" sono un invito al gioco, alcuni addirittura ad un gioco lasciato tutto allo spettatore, come un certo puzzle» non figurato, una sorta di «puzzle» teorico esposto alla Blu, con gli altri. E gioco più che mai sono i giocattoli, appunto, e vi invitano anche i teatrini figurati, parodie infantili di narrazione storica, il Re Sole, ecc. (forse in contropiede a certa pittura narrativa). l film di Nespolo sono episodici, e si collocano ne!l'arco dei suoi interessi forse come momenti sperimentali non interamente compiuti, e tuttavia sondaggi vivi, nei quali ritornano, ora in un aspetto ora nell'altro, gli umori che corrono lungo tutto il suo lavoro di questi anni.
Sono diversi, ma se ne possono ricordare almeno alcuni, particolarmente.
In La galante avventura del cavaliere dal lieto volto c'è un episodio centrale con Lucio Fontana che dirige operazioni militaresche nel giardino della Villa di Baj a Vergiate, assieme allo stesso Baj, tutti in divisa e decorati · Questo episodio è montato fra altro, di differente natura, da Nespolo girato in precedenza, e altro girato poi. Così che l'esito è di un gioco di assurdità e incongruità . Ma soprattutto di riduzione dell'assurdità banalità , piuttosto che la sua drammatizzazione.
Un altro film lo ha girato con Pistoletto, in occasione della mostra Contemplazione nelle gallerie torinesi Stein, II Punto e Sperone, organizzata da Daniela Palazzoli nel 1968. Pistoletto aveva
esposto una palla di cartapesta. Nespolo la porta fuori dalla galleria, all'aria aperta, e suggerisce a Pistoletto di portarla in giro per Torino, e filma le reazioni di sorpresa del pubblico. Anche qui una demitizzazione dellâoggetto "artistico" che Pistoletto aveva proposto, capovolto in oggetto a sorpresa nel tessuto quotidiano. L'altro oggetto di Pistoletto protagonista del film è una rosa di carta che va anch' essa in strada, da una finestra, e alla fine sparisce salendo in un pullman. Un altro film Nespolo lo ha dedicato interamente a riprendere il poeta "beat" nordamericano Allen Ginsberg.
In un altro ancora protagonista è la cottura di frittelle: il protagonista alla fine se le mangia, assieme a Daniela, la moglie di Nespolo, entrata anch' essa in cucina e in scena. Banalità non seriosa, contro la banalità seriosa e drammatica di certa filmica dei «pop» nostrani o nordamericani.
Una "poetica" di Nespolo è ottenibile soltanto "a posteriori", come conclusione dell'esame delle sue proposte.
E la si sarà già intuita nelle pagine che precedono, dal costruirsi di certe osservazioni ricorrenti.
Per Nespolo l'arte vuol essere la dimensione più naturale ed umana. L'artista può suggerire alla società , contro i suoi miti mistificanti compreso quello dell'arte, e dell'arte d'avanguardia e dei protocolli del suo consumo, questa dimensione di naturalezza, e di più autentica umanità .
Perciò Nespolo porta. la sua ironia su ogni forma di artificiosità , di artificialità , di seriosità , innaturale e più o meno impositoria.
Occorre demitizzare e sdrammatizzare l'arte, fame un modo di naturale esténsione e completamento del fare umano quotidiano. Non si tratta di impoverirla, di abbassarla, di negarla: anzi, al contrario, di riscattarla nella sua vera natura, nella sua più autentica dimensione, e come gioco spontaneo e veramente - naturalmente - divertente.
Demitizzare l'arte e l'artista contro ogni pretesa di aulicità , di falso concettualismo. Che infine sono modi che la società impone al proprio consumo dell'arte.
Mentre Nespolo si batte per la libertà -naturalezza immaginativa, per un'autenticità di valori che servano l'uomo prima che i protocolli di una tradizione di consumo artistico.
E' un modo di difesa contro l'irreggimentazione, contro ogni attentato alla libertà . Per essere liberi di poter avvertire e sperimentare come la più autentica dimensione della realtà (al suo livello sociologico, che al suo livello ontologico) sia quanto mai problematica e dialettica irta di ambiguità e ambivalenze, ove conta la forza di rivalsa dell'intelligenza quale sola misura di sottrazione, libera, all'imposizione direzionale e dirigistica. Il ricorso al gioco Nespolo lo compie proprio in questa direzione. Per recuperare intanto, chiaramente, un'area di elementare libertà .
(dal Libro Ugo Nespolo, Collana Primo Regesto, Gianpaolo Prearo Editore, 1972)