Una modesta proposta per i massimi sistemi della rappresentazione
Ero io il ragazzo che, nell'autunno del '69, faceva la spola fra Roma e Torino per organizzare - con funzioni di segretario - una storica mostra bolognese, una di quelle che hanno fatto la gloria dell'avanguardia in anni d'avanguardia, Gennaio '70, nel Museo Civico della città felsinea. Troppe ce ne sarebbero da raccontare, sul clima e sulle avventure che - non dico altro - sconvolsero i placidi funzionari abituati ad allestire mostre con quadri dei secoli andati. Vuoterò il sacco in un giorno non lontano.
Ma se nacque una particolare simpatia fra me e un ragazzo con la faccia da bambino, avvolto in un giaccone bianco foderato di pelo, una ragione dev'esserci stata. Parto da qui. Non posso che partire da qui, per spiegare la stima che oggi, quando siamo entrambi sul crinale della mezza età , credo vada oggettivamente tributata a Ugo Nespolo, in assoluto una delle figure più anomale, complete e complesse dell'arte italiana degli ultimi trent'anni.
Alla mia domanda risponderei così. Di Nespolo mi affascinava l'apertura mentale, il senso istantaneo e bruciante dell'avventura e dell'esplorazione. Uno spunto qualsiasi della vita diventava, in lui, sollecitazione, evento, processo, e immagine. Il punto è questo: sempre e comunque immagine. Da un lato Nespolo era, ed è, curiosità , ricettacolo di emozioni, capacità di suzione, direi, sugli eventi che il Tempo ha la benevolenza di produrre incessantemente. Ma subito dopo - un istante dopo - intervengono la volontà , l'obbligo, la necessità (absit iniuria verbis, addirittura moralistica) di "mettere in forma", di imporre quell'entità indefinibile, addirittura drammatica, che si chiama "stile"; di imporla al mare altrimenti sconfinato delle sollecitazioni.
Lo capii proprio nella fase di allestimento di Gennaio '70. L'uccellaccio che Nespolo aveva costruito con le sue mani, la farfalla selvaggia che batteva le ali mossa da un compressore (chissà a quali diavolerie tecniche e informatiche si ricorrerebbe oggi per un aggeggio simile; ma lì il fascino derivava proprio dalla rudimentalità degli strumenti), era macchina di tormenti e di disturbi; ma possedeva una sua ineffabile eleganza; era forma falcata nello spazio; era un bellissimo, elegantissimo aereo-volatile misteriosamente sospeso fra non so quale tormentoso modellismo e la "voglia di volare" che deve aver convinto il Barone von Richtofen a staccare l'ombra da terra per la prima volta.
Nespolo era non al primo, ma a uno dei suoi primi importanti appuntamenti creativi. E però, sia che si vada indietro, sia che si ripercorra la sua storia fino ai nostri giorni, la legge non cambia. Apertura di testa (e di sensi), e messa in forma. All'infinito. Con modalità continuamente rinnovate.
à già incredibilmente illuminante, in questo senso, A Lady May, del '66, in cui una smazzata di birilloni bicolori viene sparigliata da bocce sintetizzate, sotto gli spalti solenni di un paesaggio. Chi sappia leggere la filogenesi delle immagini non mancherà di ritrovarvi i cromosomi alti e capricciosi di de Chirico, e di quella sua invenzione - esaurita assai prima che cominciasse il "movimento" della metafisica - che amò definirsi appunto pittura metafisica. Senonché il sublime spaesamento temporale del Maestro greco-monacense diventa, in Nespolo, spaesamento ironico, o addirittura dileggiante, delle forme nel tempo della grande mediocrità . Resta - quello sì - il prosciugamento atmosferico di una scena colta nella luce violacea e spettrale di un pianeta marziano mai abitato da quelle creature disordinate che si chiamano uomini. I limiti sono insomma di contingenza storica, non di nobiltà di concezione.
Tant'è vero che si va avanti così anche negli ultimi anni Sessanta, nei quali la lutulenza dei tempi spinge forsennatamente verso il vitalismo, e verso una povertà di materiali che sembrerebbe necessariamente postulare la loro transitorietà e deperibilità . Nespolo prende - letteralmente, che per un pittore significa "visivamente" - le distanze. Se concepisce un cesto di vimini intrecciati da cui spunta un mazzo di grissini essi stessi di vimini, quella forma avrà l'ordine e la perentorietà silenziosa di una struttura primaria. Se due timbri portano scritti i messaggi, ancora una volta primari, "power" e "violence", quei messaggi fonetico-concettuali diventeranno assoluti filosofici, o leggi non periture della storia umana.
Ma appena può l'artista torinese torna a mettere in azione il proprio implacabile alternatore, massimo di apertura mentale e massimo di severità formale. Nel '72, in Medium Rare, lo vediamo misurarsi splendidamente con un suo fosco trattato di fisiognomica, che è quanto dire con un volto incartapecorito, stravolto e congelato, anticipatore dei ben più fragili espressionismi concepiti dalla "new image" un decennio dopo.
L'anno successivo, con Les mains pleines, in un empito addirittura visionario di formalismo, Nespolo arriva fra i primissimi (e con un sorriso non del tutto rassicurante) a capire gli incanti ambigui di quella che sarà la "vague" postmoderna; perché quel suo tempietto delizioso e ingessato ha certo la potenza straniante del padre de Chirico (cui del resto Nespolo dedicherà un esplicito, seducentissimo omaggio nel 1982), ma sa anche farsi forma costruita, architettura, archetipo di un modulo tettonico che, negli anni Ottanta, rischierà di occupare tutte le città europee.
Poi, naturalmente, bisogna misurarsi col Museo: col Museo - tassonomicamente, concettualmente - in quanto coacervo di valori; e col Museo in quanto deposito delle forme originate dal "pensiero in figura". Il primo compito è assolto, solennemente (e ancora una volta con la tecnica un po' stregante e un po' smagata del puzzle), già nel 1975-76, in un enorme pannello in cui non c'è forma (dell'arte, e della vita "come volontà e come rappresentazione") che non corrisponda, con millimetrica esattezza, alla costruzione di questa che certamente Nespolo, ai tempi, e giustamente, ha ritenuto la Cappella Sistina del suo intero sistema figurativo.
E quanto poi al Museo come caverna di spazi disomogenei abitata dalla sublimità delle forme, questa è esattamente la scommessa che ha eccitato la mente e la fantasia di Nespolo per tutti gli anni Novanta, e che continua ancora oggi. Perché a me pare che, al colmo della maturità , il meccanismo immaginativo dell'artista abbia radicalizzato, se possibile, le proprie polarità : ancora più libertà (ma dovrei forse dire forza) nel pensare il pensabile; e ancora più rigore nel verificarne la resa figurativa, o plastica. Storie di oggi, 1990; Avanguardia educata, 1995; Ex libris - I massimi sistemi, 1995... Appunto: modeste proposte per i massimi sistemi della rappresentazione. Dalla vertigine algida di Storie di oggi all'universo totalizzante di Avanguardia educata; dall'abbagliante ronzio algebrico di Account alla suprema eleganza dei Massimi Sistemi.
Tutto ciò significa ricerca di senso, un compito al quale la nostra generazione non sa rinunciare. La storia di Nespolo è lì, come un monolite fra i più inquieti e coerenti, a dimostrarlo. E a me commuove che i due ragazzi di allora, i ragazzi del '69, siano ancora lì, come solidi pellirosse, che seguono la pista intuita, annusata, negli anni della loro giovinezza.
(dal catalogo Nespolo + Napoli, Mostra Palazzo Reale, Scuderie, dal 19 dicembre al 28 febbraio 2000, Skira)