Tane d'artista La casa museo di Ugo Nespolo
Nel castello dove nasce il moderno
Dopo dieci anni passati a New York, vive a lavora in una ex fabbrica torinese. Ispirandosi a Depero, considera l'arte un'avventura totale. Senza escludere cinema, fumetti e poesia.
Uno che scatta in piedi ogni mattina alle sei e trenta, a 63 anni il pittore torinese Ugo Nespolo ha il volto e il corpo di un trentenne. Più di mille mostre all'attivo, uno che in quarant'anni di iter professionale ha fatto di tutto e sa fare di tutto, dai quadri alti due metri alla grafica per le grandi aziende, dal design di mobili ai vasi in vetro o in ceramica, dalle video-sigle televisive alle scenografie teatrali, dai film sperimentali ai libri oggetto, non sta fermo un attimo mentre ti accoglie nel suo portentoso studio professionale di via Susa.
Cortese e disponibile risponde, spiega, ti mostra tutto quello di cui hai bisogno per capire e raccontare il suo mondo. E finché ti chiede il permesso di assentarsi un attimo perché nella stanza accanto ha un cliente cui non può sottrarsi. Torna dopo dieci minuti, soddisfatto di aver firmato un ottimo contrato. «Non c'è un altro studio di pittore in Italia che abbia il mio fatturato» sorride.
Né l'entità del fatturato potrebbe essere diversa a giudicare da questa sorta di castello moderno dove mi trovo, e dove non c'è una lampada o una seggiola che non mi piacciano. Un museo gaudente e autoironico costruito da Nespolo a decantare se stesso. Quattromila metri quadri accurati in ogni segno, dove non c'è angolo che non sia stato pensato a valorizzare i mobili del grande design europeo o i libri delle avanguardie del Novecento o i tantissimi quadri di Fortunato Depero, un artista anche lui polivalente che di questo studio è una sorta di padre putativo: a cominciare dal fatto che la sua scrivania è quella dove oggi siede e lavora Nespolo.
Quei quattromila metri quadri distribuiti su tre piani facevano da spazi di una fabbrica di porcellane nata a Torino all'alba del Novecento, su una cui terrazza il proprietario aveva approntato un campo di bocce dove veniva a rilassarsi il maresciallo Badoglio.
A cominciare dai primi anni Ottanta Nespolo l'ha comprata pezzo a pezzo, loft dopo loft, un piano dopo l'altro, e adesso ne è il re incontrastato. "Omnia vincit labor" era inciso sulla facciata di ingresso. Lo avevano scritto i proprietari della fabbrica, e Nespolo non avrebbe potuto inventarsi un'insegna migliore a rappresentare la sua avventura umana e artistica. Dalle sei e trenta del mattino alla sera tarda il lavoro è difatti la sua religione. Metà ragazzo vorace di ogni avventura e di ogni possesso, metà manager accorto, oscilla continuamente tra il gioco e la responsabilità , tra la memoria culturale e le tecnologie di cui il suo lavoro ha bisogno.
Nato dalle parti di Biella, figlio di un piccolo imprenditore anarchico e irrequieto, laureatosi a Torino in semiologia, Nespolo è subito in prima linea in quella città febbricitante e ardita dei primi anni Sessanta. à la Torino dove alcune delle più belle gallerie d'arte d'Italia, da quella di Remo Pastori a quella di Christian Stein a quella di Gian Enzo Sperone, fanno da culla dell'"arte povera". Nel drappello di cui Mario Merz è il capintesta riconosciuto, Nespolo è tra i più giovani. Il suo grande amico (di due anni più grande) è Alighiero Boetti, perché è il più irridente di tutti, quello che vuole andare fuori dal già seminato, e Nespolo ricorda i giri di loro due per Torino su una piccola vettura a distribuire il bellissimo poster che Boetti aveva disegnato per una mostra del 1967 dove figuravano Merz, lo stesso Boetti, Nespolo, Aldo Mondino, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Mario Schifano e molti altri. Un poster che oggi è divenuto un cimelio tra quelli che raccontano l'avvento di una
nuova generazione di artisti, e una cui copia è naturalmente appesa nel castello-museo di via Susa.
Solo che il nostro eroe non ci teneva poi così tanto a far parte di un gruppo, di una confraternita («Non mi sono mai trovato bene alle riunioni fra artisti»). A lui gli "ismi" piacciono mica tanto, gli piace saltare da un genere all'altro, da un gruppo all'altro, da una città all'altra. E dunque eccolo viaggiare da Torino a New York, un viaggio che per uno della sua generazione era tanto primario quanto indispensabile. La New York degli anni Settanta voleva dire la pop art, Andy Warhol e la sua "factory", la rottura di ogni muro divisorio tra i materiali dell'arte alta e quelli dell'arte bassa, quei quadri che attingono dai personaggi e dai colori forti del fumetto. A New York Nespolo ha tenuto casa per dieci anni, a New York ha scattato centinaia e centinaia di foto con le quali organizzerà prima o poi una mostra. A New York ha usato quel tipo di cinema che ha poi fatto in proprio, facendo recitare Boetti o Schifano o Lucio Fontana, un cinema in cui tutto è raccontato in "diagonale", come di sbieco e incompiuto.
E a proposito di andate e ritorno fra New York e Torino, lo sapevate che la prima mostra italiana di Lichtenstein, una delle star della pop art, s'è fatta proprio a Torino, nella mitica libreria Hellas di Angelo Pezzana? Pezzana, altro torinese assai speciale al quale Nespolo ha dedicato il suo ultimo film, presentato a Milano due mesi fa. Quella libreria Hellas dov'era uno scantinato dedicato alle presentazioni dei libri e nel quale Nespolo conosce il poeta americano Allen Ginsberg, e naturalmente nell'occasione non poteva mancare un'altra torinese d'eccezione. Fernanda Pivano, quella che aveva incantato Cesare Pavese alla casa editrice Einaudi.
Boetti a parte, fra i pittori un altro grande amico di Nespolo è Enrico Baj e tale è rimasto fino alla sua morte, due anni fa. Da Torino a Milano, ecco che i due compari nel 1972 avevano fondato a Milano uno studio in comune che aveva nome "Baj & Nespolo" («Baj era uno che mi piaceva molto. A differenza di molti artisti, era uno che i libri li aveva letti»). A Milano abitava il primo gallerista che avesse creduto in Nespolo e che lo avesse messo sotto contratto, Arturo Schwarz, e Schwarz vuol dire l'altro grande filone culturale che nel sangue del nostro eroe è come se ci fosse entrato per endovena, Marcel Duchamp e lo sberleffo dadaista. Nespolo frequenta la galleria Schwarz e cominciano a passargli sotto gli occhi le opere di Duchamp, le foto di Man Ray, i collages di Picabia, tutta roba da far tremare i polsi ai un giovane artista alla ricerca della sua identità . Fino all'incontro con Fortunato Depero e la sua "Casa d'arte", un incontro che risale a vent'anni fa e che non poteva non avvenire.
Depero vuol dire la sfida futurista a inventare il moderno, ma vuol dire soprattutto l'arte a 360 gradi. L'artista di Rovereto era uno che dipingeva quadri, ma anche uno che disegnava mobili e addirittura gilet. I due famosi gilet di Depero che compaiono nelle foto storiche dei futuristi, proprio quelli, Nespolo li aveva comprati in antiquariato molti anni fa pagandoli un occhio della testa. Quello che indossava Filippo Tommaso Marinetti è rimasto a lui, l'altro lo ha venduto a Renzo Arbore, di cui Nespolo aveva ideato la video-sigla che faceva da avvio di "Indietro tutta". Di Depero Nespolo ha in cassaforte un eccezionale materiale documentario, lettere, appunti, testi inediti, progetti di libri mai scritti. Di Depero mi mostra un manoscritto che comincia così: «Scrivere non è difficile. Difficile è scegliere e impaginare». Difficile è trovare l'angolazione nuova, il ritmo comunicativo giusto, riuscire ad arrivare a molti senza essere banali, stare alti ma stare dentro la vita moderna.
L'ossessione del moderno. L'ossessione che è stata di Warhol, di Man Ray, di Depero. L'ossessione di Nespolo. E dunque la commistione dei linguaggi e dei materiali, e un pittore che fa combutta con un musicista (Nespolo con Luciano Berio) o che arreda la camera da letto di un'amica a renderla più allegra. E le silhouette dei fumetti che si addensano nei quadri grandi così, e oggi ti metti a spalmare di colori
una motocicletta come a renderla ancora più sfrecciante, e domani disegni i costumi di un'opera lirica ma anche le librerie in legno colorate all'acrilico dove mettere in mostra i libri dei dadaisti e dei futuristi. Ed ecco la stanza ipertecnologica dove poter montare e modellare i film di Nespolo che il Centre Pompidou ha onorato con una sua mostra fin dal 1984. E quella collezione di piccoli robot, di sagome talmente essenziali al suo lavoro di pittore. E il libro strutturato a illustrare le poesie di Alda Merini ma anche quello progettato per la Campari in occasione del campionato del mondo di calcio del 1990. La pubblicità . Il cinema. Il fumetto. Il calcio. Il design.
Quali altri fantasmi vorreste trovare in un castello moderno?
(Testo da Panorama, numero 26 del 30 giugno 2005, Mondadori, Milano)