Enrico Baj

Nell’arte della pittura Ugo Nespolo introdusse attorno alla metà degli anni Sessanta il concetto di composizione lineare curvilinea. Ovverosia la superficie dipinta veniva suddivisa da linee curve le quali, incontrandosi spontaneamente, davano l’idea di tessere di un grande puzzle, e il quadro stesso creava l’illusione di un puzzle ingrandito.

L’idea di suddivisione lineare, e non chiaroscurale, come ad esempio in Leonardo, è fondamentale in tutta la pittura moderna. Ma una considerazione si impone prioritariamente: la distinzione capitale tra linea retta e linea curva.

In tutte le avanguardie storiche degli inizi del XX secolo traspare quella sconvolgente attrazione verso un mitico progresso tecnico, meccanico, costruttivista, progresso che di poi si rivelerà portatore di molta ricchezza transitoria e di molti danni permanenti. L’arte diverrà cubista, astratto-geometrica, futurista: e esalterà la scomposizione e frammentazione delle forme col cubismo, il ritorno a una spazialità euclidea con Mondriaan e il culto della velocità col futurismo.

Tutte queste pulsioni si serviranno largamente della linea e dell’angolo retto, che è l’elemento dominante di ogni costruttivismo meccanicistico e di quella torre di Babele del ferro che è la Tour Eiffel.

Fu necessario attendere sino al 1953 per veder sorgere un movimento, il M.I.B.I. (Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste) fondato tra la fine del 1953 e gli inizi del 1954 da Asger Jorn, Enrico Bai, Corbeille, Appel e altri in opposizione al Nuovo Bauhaus fondato da Max Bill a Ulm. Il movimento immaginista ebbe poi straordinari sviluppi andando a sfociare nel Situazionismo.

Il M.I.B.I. per primo imprecò contro il dominio della linea retta e dell’angolo retto e auspicò il ritorno a un’arte di forme libere e sperimentali, che ci salvassero dall’invasione dei concetti razionali e geometrizzanti.

Finalmente poi, dodici anni dopo, arrivava Nespolo munito di un curvilineo, semplice strumento adatto a tirare linee curve piane. Per linee curve piane o semplici intendiamo linee le cui curvature non abbiano poi a involgersi, avvitandosi e avvinghiandosi su se stesse, dipanandosi in ricci e volute involute e nei ghirigori senza fine di una matassa di inestricabile lettura.

Ritornando alle curve semplici, sono queste che costituiscono gli elementi primari nella stesura figurativa dell’opera nespoliana. E sono queste che probabilmente hanno spinto Nespolo verso il cinema.

Il cinema può essere inteso in vari modi: e anzitutto come ricreazione virtuale della realtà, ricreazione alla quale collaborò fortemente l’introduzione del sonoro. Quando era muto, il cinema era una favola, una favola nata dalla lanterna magica. Possiamo inventare tutti gli effetti speciali che vogliono, ma chi arriverà mai a eguagliare la fantastica immaginazione del Viaggio dalla terra alla Luna di Meliès? O Entracte o L’âge d’or? Acquisendo il parlato e il rumore il cinema diviene volgarmente realistico, prodotto buono, come sta appunto succedendo, per la televisione.

Prescindendo da queste considerazioni, il cinema è dato da un complesso di fotogrammi, ovvero tessere ottiche, che sovrapponendosi le une alle altre, ci forniscono la rappresentazione di immagini in movimento. Se lasciamo da parte il movimento, possiamo dire che la stessa cosa succede in un mosaico o in un puzzle, laddove l’insieme delle tessere ci restituisce l’immagine: un’immagine che prevale sulle linee-forza (care ai futuristi) della composizione.

Il cinema quindi è un puzzle che gioca sull’effetto della sovrapposizione delle immagini e sulla incapacità retinica di distinguerle.

Nespolo, dentro al cinema, procede a una ulteriore sovrapposizione: egli procede sempre più a rompere, frantumare e direi quasi frattalizzare, le immagini. Le quali ci appaiono, come nell’ultimo film con Edoardo Sanguineti e con un concentrato del cinema italiano delle origini, come una serie ininterrotta di repentine interruzioni visive e sonore, con un ritmo sincopato che raggiunge livelli parossistici.

Ogni spettatore diventa un guardone e un fornicatore, ossessionato da immagini interrotte, ovvero partecipa a un continuo coitus interruptus. La capacità del cinema di Nespolo è quella di manipolare chi guarda trasformandolo in qualcos’altro, cioè rendendolo complice, sul piano ossessivo dell’interruzione continua, di un’emozione spezzettata.

La continua costrizione e susseguente rilascio retinico, come in un alternarsi di sistole e diastole, suggeriscono quasi una partecipazione del battito cardiaco a quell’alternanza vertiginosa di stop and go della proiezione. Che alla fine si risolve in una dinamicizzazione del puzzle della sua vita.