CINEMA Testi critici Guido Curto

Guido Curto

Ugo Nespolo e il cinema. Nespolo artista o regista? Artista, senza dubbio. Anche se siamo convinti che oggi il cinema occupa il posto e ha il ruolo che in passato aveva la pittura, quella dei cicli affrescati, delle pale d’altare, dei grandi teleri.

Perché l’arte dall’antichità fino alla metà del XX secolo, coinvolgeva un pubblico vastissimo, la gente, il popolo, le masse (era già un Mass Media!), come fa oggi il cinema, raccontando per immagini da dove veniamo e dove andiamo, raffigurando le storie della Genesi, spiegando il senso della vita, educando ai Valori dell’altruismo, del bene, come fa Giotto nella Basilica di san Francesco ad Assisi, Michelangelo nella Cappella Sistina e nelle Tombe Medicee, Raffaello nelle Stanze in Vaticano, Tintoretto nella Scuola di San Rocco a Venezia; oppure, in molti casi, l’arte fa “propaganda”, “pubblicità”, celebrando i potenti di allora - re, regine, principi, papi, alti prelati - senza dimenticare l’emergente borghesia mercantile che nell’Olanda del’600 assurge al ruolo di committente primario con la predilezione per le iconografie del ritratto e della veduta.

Nespolo è una persona colta che conosce bene questa storia dell’arte (si è diplomato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e presso l’ateneo torinese si è anche laureato in Lettere), così quando alla metà degli anni ’60 inizia a voler “essere” artista si trova di fronte ad un bivio e a un dilemma: o inserirsi a pieno titolo nel gruppo dell’Arte Povera, del quale ufficialmente negli esordi fa parte a pieno titolo; oppure tentare una svolta in chiave anticoncettuale e “popolare” allontanandosi dagli interventi performativi, post-dadaisti, tipici di tutte le neoavanguardie in auge in Europa e negli USA negli anni ’60 e ’70.

Coraggiosamente, in quegli anni, sceglie il ritorno alla prassi della pittura giocata in chiave post-futurista e di fatto Neo-Pop, diventando l’Andy Warhol italiano, con un grande studio a Torino dove si lavora sul modello della Factory e si producono non solo dipinti, ma anche opere d’arte applicata, correlate alla comunicazione e al design.

Che si tratti di pittura o applied arts, tutto si declina nell’ambito di una poetica gioiosa e vitalistica, che rivisita il meglio del futurismo italiano, adottando uno stile figurativo fortemente stilizzato, al punto di citare il cubismo, e con cromatismi intensissimi, stesi a piatto, che prendono spunto dalla Pop Art statunitense.

Vedere oggi, nel 2008, e quindi circa quarant’anni dopo, alcune opere “cinematografie” di Nespolo davvero aiuta a capire non solo da dove l’artista era partito, ma soprattutto dove è voluto arrivare. Con la macchina da presa Nespolo ci offre ben più di una documentazione di quei mitici anni ’60.

Inquadrare, ad esempio, Alighiero Boetti tra le sue opere in mostra presso la Galleria Christian Stein di Torino, oppure riprendere i primi lavori fatti con i neon da Mario Merz, esposti nella sede torinese della galleria torinese di Gian Enzo Sperone, o ancora vedere Michelangelo Pistoletto che si rade davanti ad uno specchio (non a caso!) e che subito dopo porta in giro per la città una gigantesca palla di carta di giornali, nell’ambito di una celebre performance, tutto questo va molto al di là della mera documentazione di quel momento di straordinaria vitalità della arte e della cultura a Torino.

Questi film, brevi e folgoranti, costituiscono un vero e proprio, autonomo lavoro artistico dove la soggettività della ripresa e l’imprevedibile decostruzionismo dello story board fanno sì che ogni cortometraggio assuma il ruolo di un vero e proprio video di artista, tanto da far considerare Nespolo un precursore assoluto di questo oggi ben specifico genere artistico, con vent’anni di anticipo.