CINEMA Testi critici Steve Della Casa

Steve Della Casa

All’inizio del cinema di Nespolo c’é la volontà di sperimentare liberamente la macchina da presa: in questa semplice definizione fornita da Paolo Bertetto é certamente racchiuso il senso più vero della filmografia di un’artista tra i più completi e versatili del cinema italiano. É facile commentare tanti anni dopo l’insieme delle sue opere, aspettando i nuovi prodotti di un percorso che, a differenza di quello caratteristico di molti suoi colleghi, non si é mai interrotto.

Però é al tempo stesso molto sorprendente constatare che il primo titolo della sua filmografia é intitolato Grazie, mamma Kodak e a sua volta sembra veramente riassumere tutto quello che é accaduto dopo. Sembra infatti un titolo ironico (come spesso succedeva a quei tempi, Nespolo utilizza volutamente pellicola scaduta e sempre volutamente distrugge uno dopo l’altro tutti i luoghi comuni della narrazione cinematografica, proprio come avveniva nel New American Cinema: non a caso lo stesso Nespolo sarà uno dei più entusiasti partecipanti al seminario che nel 1967 sarà tenuto da Jonas Mekas e P.Adams Sitney all’unione Culturale, dove i due erano stati invitati per iniziativa di Angelo Pezzana, uno dei più importanti tramiti attraverso i quali la cultura underground americana di quegli anni fu conosciuta in Italia e in particolare a Torino. Sembra ironico, dicevamo, ma non lo é affatto.

É invece un titolo programmatico. Mamma Kodak fornisce il necessario, la materia prima senza la quale molte cose non si potrebbero raccontare e, prime tra tutte, le cose che riguardano un gruppo di amici che riesce a imporsi proprio perché é capace di cambiare la percezione della visione.

Infatti, i film successivi di Ugo Nespolo sanno raccontare meglio di qualsiasi saggio cosa é avvenuto nel milieu artistico della Torino di quegli anni. Già i titoli Boettinbiancoenero, Neomerzare e Buongiorno Michelangelo dimostrano quanto Nespolo fosse capace di accorgersi della necessità di raccontare quanto stavano facendo i suoi colleghi. E non solo loro: se vogliamo raccontare un posto fondamentale per l’arte di quegli anni quale era la Galleria Stein, non si puo’ prescindere da quanto Nespolo stesso ha filmato.

E non finisce qui, naturalmente, visto che ritroviamo Enrico Baj nel ruolo di un mago in Con certo rituale, Galeno e Luigi Mainolfi in Un supermaschio, ancora Galeno in Andare a Roma (questi ultimi due film sono prodotti da Antidogma, altra sigla fondamentale per gli anni Settanta torinesi). E anche perché troviamo Edoardo Sanguineti commentare in rima una possibile storia del cinema torinese in Film-a-To, che per adesso é l’ultimo film. Sono presenze importanti che vengono trattate in modo naturale e non esibito, proprio come gli amici (e che amici!) di Jonas Mekas nei mille diari visivi che il teorico del New American Cinema ha raccolto con il passare degli anni.

Insomma, attraverso il cinema di Ugo Nespolo si riesce a raccontare una specie di storia dell’immagine e della percezione dell’immagine da parte di molti artisti e intellettuali che hanno in varie epoche interagito con lui. E in questo senso, il suo cinema ha un valore storico, un’importanza documentaria. Questo aspetto non va sottovalutato: non é ne’ preponderante ne’ secondario, é piuttosto parallelo ma fa parte anch’esso dell’essenza più vera del cinema di Ugo Nespolo.

Sembra infatti pensato apposta per dimostrare un assunto solo in apparenza contraddittorio: l’arte sperimentale puo’ essere anche usata per la grande comunicazione. E così, la stessa frantumazione dell’immagine e del racconto che ritroviamo nei suoi lavori risulta poi capace di comunicare sensazioni molto meglio del linguaggio tradizionale. In questo senso, Film-a-To é veramente notevole, già a partire dal titolo.

E il commento di Sanguineti, abbinato alla scelta delle immagini, ha il mirabile risultato di commentare in modo assolutamente originale e al tempo stesso completo quelle immagini e quelle storie che richiederebbero ore e ore di montaggio, di commento tradizionale, senza peraltro cadere nella semplificazione un po’ umiliante che é invece tipica del messaggio pubblicitario. Una trama complessa ma al tempo stesso fruibile da tutti: in questo senso il cinema di Nespolo riesce a impersonificare al livello più alto quel concetto di “comunicazione istituzionale” sul quale si sono visti i maggiori obbrobri di registi anche famosi. E questo se si parla del cinema torinese, o della galleria Stein, o dell’opera di Michelangelo Pistoletto: quanti sono i registi che possono citare alcune delle cose migliori da loro dirette quando parlano di filmati che hanno anche un valore documentario e di documentazione?

Ma l’aspetto sperimentale non é certamente secondario, anche perché (e qui ritorniamo alla definizione iniziale che ci ha fornito Paolo Bertetto) la fascinazione che la tecnica cinematografica esercita su Ugo Nespolo é con ogni evidenza notevole, come testimonia anche l’ampio spazio che nella sua attività; di collezionista hanno gli oggetti di cinema, in particolare le cineprese che costituiscono il pezzo forte di un suo imminente museo privato del cinema.

Scrive ancora Bertetto: “Partii con la Bell and Howell 16mm con lo zoom Angenieux alla scoperta del cinema e fui fortunato, dice Nespolo ricordando la sua decisione di fare cinema (…) é il gesto più immediato e disarmato e allo stesso tempo il più carico di autoaffermazione e di Kunstwollen”.

La sperimentazione, contrariamente a quella di molti che iniziano a fare cinema in quell’ambiente e con quella formazione, riguarda soprattutto la maniera di narrare. Ed é un vero e proprio montaggio di attrazioni, nel senso che a questo termine veniva dato dall’avanguardia russa negli anni Venti, il modo con il quale Nespolo racconta le sue storie.

In Un supermaschio, che poteva essere un film facilmente “scandaloso”, si usa addirittura la voce fuori campo, che dovrebbe essere la forma di commento più aborrita dagli sperimentatori formatisi con il New American Cinema in quanto la parola viene a prevalere sull’immagine, sull’occhio-dio che é il vero fondamento di quella nuova estetica del cinema e delle arti.

E in Con certo rituale fanno bella mostra di sé alcuni dei luoghi comuni visivi più ricorrenti nel cinema a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta: il nudo posteriore “preraffaelita” femminile, la falce e martello, i fedayn. Appaiono, ma al tempo stesso sono decontestualizzati, risultano come un catalogo di possibilità più che come gli elementi sui quali costruire il senso vero del racconto: proprio come il gioco della cavallina che sembra appassionare i protagonisti del film.

Forse é proprio per questa ricorrenza della volontà di narrare che Nespolo ha manifestato più volte un interesse (finora rimasto solo sulla carta) ad avvicinarsi al cinema-cinema.

Lo prova uno straordinario quadro-puzzle che reinterpreta la scena più famosa di Intrigo internazionale che é uno dei suoi lavori più noti e più esposti (anche dallo stesso Nespolo, visto che fino a poco tempo fa campeggiava nell’ingresso del suo atelier): ed é solo uno dei suoi innumerevoli ritorni a immagini del grande cinema.

Lo prova anche il fatto che Nespolo stesso avesse opzionato lo stesso romanzo dal quale Kubrick ha tratto il suoi ultimo, discusso film, forse affascinato da quell’atmosfera cosi’ scopertamente surreale che avrebbe anche potuto essere utilizzata (ma Kubrick certo non lo fa) in chiave ironica.

E lo prova, soprattutto, l’ironia che fa capolino in continuazione nei suoi film (e in tutta la sua vasta produzione artistica) e che é insieme all’ansia di narrare il vero elemento costante che unisce i vari periodi della sua attività.

Come scrive sempre Bertetto, “Il gesto paradossale e la volontà irridente costituiscono la struttura di fondo della poetica” di Ugo Nespolo. Gli esempi più evidente distano tra loro un decennio e sono Tucci Ucci (girato nel 1968) e Il faticoso tempo della sicurezza noto anche come Lo spaccone, realizzato per l’appunto dieci anni dopo. Il primo sembra quasi il grado zero (e quindi anche la parodia) del cosiddetto cinema diaristico del quale si parlava prima, visto che é la storia della preparazione di un piatto di frittelle.

Il secondo ha anch’esso una componente diaristica, visto che ci racconta Nespolo stesso impegnato al tavolo da bigliardo, ma é al tempo stesso la sua più evidente citazione cinematografica visto che già nel titolo allude al noto film di Robert Rossen con Paul Newman.

Sono convinto che Nespolo si diverta anche proponendo un commento fuori campo che, contraddicendo quanto ci ha proposto poco prima con Un supermaschio, é completamente incomprensibile (credo sia registrato e poi inciso al contrario sulla pista sonora del film). Ma quello che é più importante é che un senso di divertimento e di vera e propria allegria sia sempre trasmesso dai suoi film (anche da quelli più drammatici come il ferreriano Un supermaschio – se vogliamo continuare nel gioco delle citazioni che pero’ é un aspetto non prevalente del cinema di Nespolo). Capacità di raccontare, di sperimentare e di divertire. Semplice, e al tempo stesso complesso, il cinema di Nespolo é tutto qui, e non é certo poco.